Sento il dovere profondo di pubblicare la testimonianza di Simonetta Stringari
Agip in Amazzonia: pioggia nera sugli shuar
Una piccola delegazione altoatesina costituita da persone attive nel settore ambientale, sindacale e sociale e una studentessa della scuola superiore si è recata in Ecuador dal 4 al 18 novembre per toccare con mano i frutti del lavoro comune svolto attraverso i progetti dell'associazione Ecolnet e di altre agenzie territoriali. Di seguito il racconto di un giorno particolare.
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Il 5 novembre è il nostro primo
giorno a Quito: nel pomeriggio incontriamo Josè
Tonello dell'ONG FEPP, responsabile di numerosi progetti
in Ecuador , ed Esperanza Martinez, di Accion Ecologica,
referente internazionale di Oilwatch (un osservatorio
sulle attività delle multinazionali del petrolio)
nonché vincitrice del premio Langer nel 2002.
Nel pomeriggio abbiamo una prima riunione
per definire il programma del nostro viaggio in Ecuador.
Proprio Esperanza ci propone di fare una variazione
dello stesso: nella zona di el Triunfo, situata più
o meno nella zona centrale dell'Oriente ecuadoriano,
l'AGIP, effettuando perforazioni a ridosso dei territori
delle comunità indigene Shuar, pare abbia causato
seri danni all'ambiente e alle persone. Il giorno 7
le comunità indigene della zona si riuniranno
per discutere la situazione. Esperanza ci fa capire
come sarebbe importante la nostra presenza. Accettiamo
quindi la variazione rispetto al programma originario.
Partiamo per Pujo il 7 alle ore 6 del mattino; nel viaggio
ci accompagneranno Josè e Natalie di Accion Ecologica.
Dopo 5 ore di pullman di cui molte di strada sterrata
ma con visioni paesaggistiche mozzafiato, arriviamo
all'incontro.
Come prima cosa veniamo accolti in una
capanna dove ci viene offerta la cicha, una bevanda
molto particolare a base di yucca. Il gruppo che ci
accoglie è tutto di etnia shuar a parte una donna
kichwa che fa l'insegnante.
Dopo i convenevoli ci spostiamo nella sala riunioni:
si tratta di un'altra capanna molto più grande
dove si trovano circa 50 persone, donne e bambini inclusi,
e un computer. Sono colpita dallo sguardo fiero dei
membri della comunità Whasanti ma lo sono soprattutto
da quello malinconico dei bambini. Dopo le presentazioni
e i ringraziamenti ci vengono descritti i danni causati
finora dalle trivellazioni: le contaminazioni dell'acqua
(e cioè dei fiumi dai quali gli indigeni bevono)
e quella dell'aria (la combustione del petrolio ha causato
infatti una pioggia nera e tossica).
Dopo l'incontro Josè ci accompagna lungo un sentiero
molto avventuroso per farci vedere la contaminazione
del fiume: la zona è delimitata dal filo spinato.
Ci avviciniamo alla centrale AGIP presidiata da una
postazione militare e scattiamo alcune foto. Ripartiamo
con il pullman ma poco dopo ci accorgiamo di essere
seguiti da due camionette della polizia; l'autista si
ferma e salgono due militari per farci alcune domande.
Ci spiegano di aver telefonato al capitano che ha chiesto
loro di fare un'indagine. Nell'autobus cala il silenzio
e serpeggia un certo timore. Josè ed Aurea, la
nostra compagna ecuadoriana, scendono per discutere
e si lamentano con i militari per questo trattamento
nei nostri confronti. Poco dopo risalgono: i militari
se ne sono andati. Scroscia un applauso liberatorio.
Prima di partire definitivamente Manuel,
il capo del gruppo locale, ci aveva invitato a vedere
la sua casa e il su orto biologico. Voleva soprattutto
farci vedere l'acqua piovana (nera!) raccolta alcuni
giorni dopo le trivellazioni: quell'acqua che ha contaminato
i frutti del suo lavoro e che, soprattutto, ha fatto
ammalare sua figlia. Da un anno la piccola ha sulla
pancia un diffuso eczema per il quale, pare non sia
stato possibile finora trovare alcun rimedio.
Manuel si commuove e ci commuove: Sono felice che siate
qui ma nello stesso tempo sono triste perchè
ora ve ne andate e sarò di nuovo solo. Ci chiede
di non dimenticare ciò che abbiamo visto (e come
potremmo?). Sorride a Leo che si è messo dietro
l'orecchio un ciuffo di erbette del suo orto ...
Avevo letto molto dei danni causati in
tutto il mondo dalle multinazionali del petrolio. Avevo
visto anche i video girati nella zona di lago Agrio
al nord dell'Ecuador, dove 30 anni fa la Texaco ha causato
danni irreparabili. Ma toccare con mano, incontrare
gli sguardi mi provoca una sofferenza quasi fisica ed
un disagio profondo.
So che tutto questo è causato da un'azienda
italiana e che una banca italiana, la Banca Nazionale
del Lavoro ha contribuito a sovvenzionare la costruzione
dell'oleodotto OCP che attraversa l'Ecuador.
Non credo riuscirò più a far benzina ad
un distributore AGIP, né aprirò mai un
conto alla BNL.
Rifletterò comunque anche sul mio
stile di vita: in fondo siamo noi, abitanti del Nord,
che per mantenere i nostri stili di vita necessitiamo
di quantità sempre maggiori di petrolio. Appena
potrò mi comprerò una macchina a metano.