Così ho realizzato in Brasile
"Il
sogno proibito di ogni triathleta”
Giuseppe Solla racconta come è riuscito a diventare
il primo sardo qualificato per il leggendario Ironman
mondiale delle Hawaii
FLORIANOPOLIS 29 MAGGIO 2004
Adesso lo posso dire. Quest’idea di qualificarmi
al campionato del mondo di Ironman me la sono tenuta dentro,
l’ho incubata per tre anni. Da quando, a Lanzarote, ho
indossato la maglia di finicher di un Ironman che avevo
preparato con un solo mese di allenamento. Era il mio
primo e l’avevo corso con grande entusiasmo ma senza una
conoscenza specifica di cosa andavo ad affrontare.
Daniele (triatleta)
papà del CAMPIONE
Perché sono passati tre anni? Perché
la preparazione di un Ironman non è semplice e
non si può intraprendere a cuor leggero. Richiede
giorno per giorno la stessa concentrazione: ogni bracciata,
ogni pedalata e ogni passo deve avere un obiettivo . Il
mio obiettivo era questo, ciò che due settimane
fa sono riuscito ad ottenere: prendere parte all’Ironman
delle Hawwaii, come dire, il massimo sogno per ogni triatleta.
Mesi effettivi di preparazione, questa volta ce ne sono
voluti otto, il resto del tempo, dalla gara delle Canarie,
é trascorso nell’attesa che arrivasse il momento
propizio per cominciare l’avventura. Perché nella
vita servono molte coincidenze favorevoli: per ogni cosa
c’è il suo tempo. In questi tre anni ho continuato
a
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Giuseppe
al lavoro |
testarmi sulle distanze lunghe del triathlon, senza mai
sbagliare gara, nel senso che in tutte ho appreso qualcosa
e tutte mi sono servite allo scopo.
Ho raggiunto la consapevolezza di sapermi adattare alle
grandi distanze, di saper gestire le situazioni più
improbabili, più difficili da superare. Ce ne sono
moltissime in gare così lunghe. Cerco di spiegarmi
meglio con un paragone studentesco, preparare una gara
lunga è come preparare un esame, pensare di averlo
fatto bene e poi ritrovarsi davanti alla commissione che
ti fa una domanda diversa da quella che ti aspettavi:
devi sapertela cavare, per venirne fuori. Ecco perché
solo adesso. Perché se l’altra volta mi era bastato
un mese, questa volta me ne sono voluto
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prendere otto. Ho cominciato in sordina, per non dare
troppe aspettative. Ma dentro di me, sapevo cosa volevo.
Ho parlato chiaro con i miei allenatori, che sono stati
gli unici a sapere da subito quale era l’obiettivo.
Marcello Pettinau ci ha creduto anche più di me.
Per preparare le tabelle di allenamento del nuoto ha voluto
consultare suo zio, Paolo, che ha un’esperienza enorme,
come sa chi frequenta le piscine. Contrariamente a quanto
si può credere, gli allenamenti al Centro Nuoto
di Quartu non sono mai stati troppo lunghi, considerando
che in gara si deve nuotare per 3,8 Km, una distanza che
per i nuotatori è decisamente lunga. Stavo in acqua
al massimo un’ora e mezza ma in quel periodo c’era davvero
da soffrire: devi essere bravo a non dire
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mai “basta!”, perché ne avresti davvero voglia.
Ma è quella forza, quella capacità di insistere
ti viene data solo dal grande obbiettivo che hai in testa.
Sapere quello che stati andando a fare, è fondamentale
in ogni seduta di allenamento, in ogni bracciata, Marcello
mi ha sempre seguito da bordo vasca, ma devo dire che
non ha mai avuto bisogno di insistere. Quando entravo
in piscina sapevo di trovare un ambiente sereno, di grande
allegria: più che le sue urla mi vengono in mente
le sue battute, la sua voglia di sdrammatizzare anche
in un contesto di lavoro durissimo. E’ sempre stato un
vero piacere per me sottopormi a quella tortura. E’ non
è poco, perché in acqua si è soli,
non si può parlare, comunicare con i compagni di
allenamento. Ma non importa,
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"tutto ciò che
cercate accompagnato dal sorriso incoraggiante di
Giuseppe lo trovate qui" Piazza 4 Novembre
Quartu Sant'Elena |
perché il gruppo mi ha trascinato – e molto –
negli allenamenti di corsa. Un ruolo fondamentale, in
questo senso, è stato svolto da Massimiliano Loddo.
L’ho contattato nello scorso autunno. Avevo bisogno di
lui. L’ho conosciuto perché spesso lui è
venuto alle gare di triathlon. So che seguiva altri ragazzi
di altre squadre, ma mi incitava sempre lo stesso come
se fossi uno del suo gruppo. L’ho apprezzato in due o
tre occasioni, perché nei momenti cruciali della
gara mi ha saputo dare il consiglio giusto. Mi ha comunicato
le cose giuste, con due parole, come solo un’atleta agonista,
che ha provato quelle emozioni, che sa come si fa a vincere,
potrebbe fare. Ci siamo subito capiti al volo e quando
è diventato il nostro istruttore, sono cresciuto
nella corsa e ho intuito di aver scelto bene. In più
ha avuto il merito di formare un gruppo che si è
rivelato fondamentale nella preparazione. I ragazzi della
mens sana mi aiutavano a ingannare il cervello, a distrarlo
dallo sforzo tremendo che l’allenamento impone. Sarebbe
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.......lo abbiamo distratto
dal lavoro. |
stato troppo pesante senza tutto ciò. In più
ho trovato nei compagni di squadra delle ottime spalle
per i lavori specifici, anche se loro stavano preparando
gare diverse, più brevi, più veloci. Nella
bici, che ho gestito da solo basandomi sulla mia esperienza,
ho avuto un compagno di allenamento come Luciano Pau,
che non ho avuto bisogno di collaudare: Ci alleniamo assieme
da una vita e so di poter contare su di lui. Mi ha fatto
compagnia in tutti gli allenamenti più lunghi,
che sono necessari per preparare una frazione ciclistica
di 180 chilometri. Oltre a lui, però, non posso
non ringraziare Bruno Salis, che si è comportato
quasi da direttore sportivo in ammiraglia,
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accompagnandomi nei lavori specifici dietro la macchina.
Non ho mai conosciuto, in tanti anni, una persona che
faccia tanto solo per amore dello sport. Ho voluto fare
questa lunga premessa, perché l’ironman, intendo
dire la gara, quelle nove ore e mezzo, sono solo il coronamento
di un lavoro di preparazione fisica e mentale che dura
diversi mesi e per il quale è necessario mettere
tutti i tasselli giusti al loro posto. L’emozioni più
grandi, però, sono concentrate in quel giorno.
Nell’ansia per entrare in zona cambio, quando ancora è
buio; nella partenza col sole che spunta dal mare; nella
lunga frazione in bici, che affronti senza sapere cosa
ti riserverà; nella maratona conclusiva, con la
paura che i crampi possano comprometter tutto da un momento
all’altro. Ma soprattutto sono concentrati in quei cento
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metri prima del traguardo. Dopo aver nuotato per quasi
quattro chilometri, pedalato per 180 e corso per 42 capisci
improvvisamente perché l’hai fatto. Un’emozione
che non ha prezzo e che auguro a tutti di provare almeno
una volta nella vita. Io ci proverò ancora, perché
è come una droga. A ottobre, a Kona, fianco a fianco
con i più grandi triathleti del mondo, sono sicuro
che proverò sensazioni ancora più violente.
Un’ultima cosa. Ogni traguardo che si taglia merita una
dedica. Io non ce l’avrei fatta senza l’aiuto della mia
famiglia: mio padre, durante la mia assenza, si è
preso cura del mio negozio; mia moglie di me. A loro due
è dedicata questa impresa.
vedi
DUE RUOTE di Giuseppe Solla
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