No alla guerra!

Home
News
Racconti e Reportage
Eventi e Attualità
Rassegna stampa
Ci hanno scritto
Link amici
E-mail



dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando

Così ho realizzato in Brasile

"Il sogno proibito di ogni triathleta”

Giuseppe Solla racconta come è riuscito a diventare il primo sardo qualificato per il leggendario Ironman mondiale delle Hawaii

FLORIANOPOLIS 29 MAGGIO 2004

Adesso lo posso dire. Quest’idea di qualificarmi al campionato del mondo di Ironman me la sono tenuta dentro, l’ho incubata per tre anni. Da quando, a Lanzarote, ho indossato la maglia di finicher di un Ironman che avevo preparato con un solo mese di allenamento. Era il mio primo e l’avevo corso con grande entusiasmo ma senza una conoscenza specifica di cosa andavo ad affrontare.

Daniele (triatleta) papà del CAMPIONE

Perché sono passati tre anni? Perché la preparazione di un Ironman non è semplice e non si può intraprendere a cuor leggero. Richiede giorno per giorno la stessa concentrazione: ogni bracciata, ogni pedalata e ogni passo deve avere un obiettivo . Il mio obiettivo era questo, ciò che due settimane fa sono riuscito ad ottenere: prendere parte all’Ironman delle Hawwaii, come dire, il massimo sogno per ogni triatleta. Mesi effettivi di preparazione, questa volta ce ne sono voluti otto, il resto del tempo, dalla gara delle Canarie, é trascorso nell’attesa che arrivasse il momento propizio per cominciare l’avventura. Perché nella vita servono molte coincidenze favorevoli: per ogni cosa c’è il suo tempo. In questi tre anni ho continuato a

Giuseppe al lavoro

testarmi sulle distanze lunghe del triathlon, senza mai sbagliare gara, nel senso che in tutte ho appreso qualcosa e tutte mi sono servite allo scopo.
Ho raggiunto la consapevolezza di sapermi adattare alle grandi distanze, di saper gestire le situazioni più improbabili, più difficili da superare. Ce ne sono moltissime in gare così lunghe. Cerco di spiegarmi meglio con un paragone studentesco, preparare una gara lunga è come preparare un esame, pensare di averlo fatto bene e poi ritrovarsi davanti alla commissione che ti fa una domanda diversa da quella che ti aspettavi: devi sapertela cavare, per venirne fuori. Ecco perché solo adesso. Perché se l’altra volta mi era bastato un mese, questa volta me ne sono voluto

prendere otto. Ho cominciato in sordina, per non dare troppe aspettative. Ma dentro di me, sapevo cosa volevo. Ho parlato chiaro con i miei allenatori, che sono stati gli unici a sapere da subito quale era l’obiettivo.
Marcello Pettinau ci ha creduto anche più di me. Per preparare le tabelle di allenamento del nuoto ha voluto consultare suo zio, Paolo, che ha un’esperienza enorme, come sa chi frequenta le piscine. Contrariamente a quanto si può credere, gli allenamenti al Centro Nuoto di Quartu non sono mai stati troppo lunghi, considerando che in gara si deve nuotare per 3,8 Km, una distanza che per i nuotatori è decisamente lunga. Stavo in acqua al massimo un’ora e mezza ma in quel periodo c’era davvero da soffrire: devi essere bravo a non dire

mai “basta!”, perché ne avresti davvero voglia. Ma è quella forza, quella capacità di insistere ti viene data solo dal grande obbiettivo che hai in testa. Sapere quello che stati andando a fare, è fondamentale in ogni seduta di allenamento, in ogni bracciata, Marcello mi ha sempre seguito da bordo vasca, ma devo dire che non ha mai avuto bisogno di insistere. Quando entravo in piscina sapevo di trovare un ambiente sereno, di grande allegria: più che le sue urla mi vengono in mente le sue battute, la sua voglia di sdrammatizzare anche in un contesto di lavoro durissimo. E’ sempre stato un vero piacere per me sottopormi a quella tortura. E’ non è poco, perché in acqua si è soli, non si può parlare, comunicare con i compagni di allenamento. Ma non importa,

"tutto ciò che cercate accompagnato dal sorriso incoraggiante di
Giuseppe lo trovate qui" Piazza 4 Novembre Quartu Sant'Elena

perché il gruppo mi ha trascinato – e molto – negli allenamenti di corsa. Un ruolo fondamentale, in questo senso, è stato svolto da Massimiliano Loddo. L’ho contattato nello scorso autunno. Avevo bisogno di lui. L’ho conosciuto perché spesso lui è venuto alle gare di triathlon. So che seguiva altri ragazzi di altre squadre, ma mi incitava sempre lo stesso come se fossi uno del suo gruppo. L’ho apprezzato in due o tre occasioni, perché nei momenti cruciali della gara mi ha saputo dare il consiglio giusto. Mi ha comunicato le cose giuste, con due parole, come solo un’atleta agonista, che ha provato quelle emozioni, che sa come si fa a vincere, potrebbe fare. Ci siamo subito capiti al volo e quando è diventato il nostro istruttore, sono cresciuto nella corsa e ho intuito di aver scelto bene. In più ha avuto il merito di formare un gruppo che si è rivelato fondamentale nella preparazione. I ragazzi della mens sana mi aiutavano a ingannare il cervello, a distrarlo dallo sforzo tremendo che l’allenamento impone. Sarebbe

.......lo abbiamo distratto dal lavoro.

stato troppo pesante senza tutto ciò. In più ho trovato nei compagni di squadra delle ottime spalle per i lavori specifici, anche se loro stavano preparando gare diverse, più brevi, più veloci. Nella bici, che ho gestito da solo basandomi sulla mia esperienza, ho avuto un compagno di allenamento come Luciano Pau, che non ho avuto bisogno di collaudare: Ci alleniamo assieme da una vita e so di poter contare su di lui. Mi ha fatto compagnia in tutti gli allenamenti più lunghi, che sono necessari per preparare una frazione ciclistica di 180 chilometri. Oltre a lui, però, non posso non ringraziare Bruno Salis, che si è comportato quasi da direttore sportivo in ammiraglia,

accompagnandomi nei lavori specifici dietro la macchina. Non ho mai conosciuto, in tanti anni, una persona che faccia tanto solo per amore dello sport. Ho voluto fare questa lunga premessa, perché l’ironman, intendo dire la gara, quelle nove ore e mezzo, sono solo il coronamento di un lavoro di preparazione fisica e mentale che dura diversi mesi e per il quale è necessario mettere tutti i tasselli giusti al loro posto. L’emozioni più grandi, però, sono concentrate in quel giorno. Nell’ansia per entrare in zona cambio, quando ancora è buio; nella partenza col sole che spunta dal mare; nella lunga frazione in bici, che affronti senza sapere cosa ti riserverà; nella maratona conclusiva, con la paura che i crampi possano comprometter tutto da un momento all’altro. Ma soprattutto sono concentrati in quei cento

metri prima del traguardo. Dopo aver nuotato per quasi quattro chilometri, pedalato per 180 e corso per 42 capisci improvvisamente perché l’hai fatto. Un’emozione che non ha prezzo e che auguro a tutti di provare almeno una volta nella vita. Io ci proverò ancora, perché è come una droga. A ottobre, a Kona, fianco a fianco con i più grandi triathleti del mondo, sono sicuro che proverò sensazioni ancora più violente. Un’ultima cosa. Ogni traguardo che si taglia merita una dedica. Io non ce l’avrei fatta senza l’aiuto della mia famiglia: mio padre, durante la mia assenza, si è preso cura del mio negozio; mia moglie di me. A loro due è dedicata questa impresa.

 

vedi DUE RUOTE di Giuseppe Solla