Quando
ci han detto: "INTERVENTO
DI PACE" |
I bombardamenti
con l'uso del fosforo bianco
L'esercito degli Stati Uniti ha usato
fosforo bianco a Fallujia nel 2004
RaiNews24 - 7/11/2005
L'esercito degli Stati Uniti ha usato il fosforo bianco
durante l'attacco a Fallujah del novembre del 2004.
L'agente chimico, contrariamente a quanto affermato
dal Dipartimento di Stato in una nota del 9 dicembre
2004, non è stato usato, secondo gli usi consentiti,
per illuminare le postazioni nemiche, ma è stato
usato indiscriminatamente sui quartieri della città.
E' quanto emerge da un'inchiesta di Rainews 24, realizzata
da Sigfrido Ranucci, in onda domani alle 7,35, nella
quale, con testimonianze di ex militari americani, vengono
mostrati anche documenti filmati del bombardamento al
fosforo, e quelli altamente drammatici che ne riprendono
gli effetti, oltre che sugli insorgenti iracheni, anche
su civili, donne e bambini di Fallujah, alcuni dei quali
sorpresi nel sonno. Ascoltiamo un brano dell'intervista
a un ex militare americano.
«Ho sentito io l'ordine di fare
attenzione perché veniva usato il fosforo bianco
su Fallujah. Nel gergo militare viene chiamato Willy
Pete. Il fosforo brucia i corpi, addirittura li scioglie
fino alle ossa». E' questa la tremenda testimonianza
che un veterano della guerra in Iraq, ha rilasciato
a Sigfrido Ranucci, inviato di Rai News 24. «Ho
visto i corpi bruciati di donne e bambini - ha aggiunto
l'ex militare statunitense - il fosforo esplode e forma
una nuvola. Chi si trova nel raggio di 150 metri è
spacciato». L'inchiesta di Rai News 24, "Fallujah.
La strage nascosta", presenta oltre le testimonianze
di militari statunitensi che hanno combattuto in Iraq,
quelle di abitanti di Fallujah. «Una pioggia di
fuoco è scesa sulla città, la gente colpita
da queste sostanze di diverso colore ha cominciato a
bruciare, abbiamo trovato gente morta con strane ferite,
i corpi bruciati e i vestiti intatti» ha detto
Mohamad Tareq al Deraji, biologo di Fallujah.
«Avevo raccolto testimonianze sull'uso del fosforo
e del Napalm da alcuni profughi di Fallujah che avrei
dovuto incontrare prima di essere rapita» - ha
raccontato la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena,
a Rai News 24 - «avrei voluto raccontare tutto
questo, ma i miei rapitori non me l'hanno permesso!».
L'inchiesta mostra documenti filmati e fotografici raccolti
nella città irachena durante e dopo i bombardamenti
del novembre 2004, dai quali risulta che l’esercito
americano contrariamente a quanto dichiarato dal Dipartimento
di Stato in una nota del 9 dicembre 2004, non ha usato
l’agente chimico per illuminare le postazioni nemiche,
come sarebbe lecito, ma ha gettato Fosforo Bianco in
maniera indiscriminata e massiccia sui quartieri della
città. Nell’inchiesta, curata da Maurizio Torrealta,
vengono trasmessi anche documenti altamente drammatici
che riprendono gli effetti dei bombardamenti sugli insorgenti
iracheni, ma anche su civili, donne e bambini di Fallujah,
alcuni dei quali sorpresi nel sonno. Il filmato mostra
anche un documento dove si prova l'uso in Iraq di una
versione del Napalm, chiamata con il nome MK77. L'uso
di queste sostanze incendiarie su civili è vietato
dalle convenzioni dell'Onu del 1980. Mentre l'uso di
armi chimiche è vietato da una convenzione che
gli Stati Uniti hanno firmato nel 1997.
Si toglie così il velo a una battaglia che nessuno
ha potuto vedere.
www.disinformazione.it
Gas, napalm,
torture, bombe al fosforo in un film i crimini di guerra
americani a Falluja
Sabina Morandi - tratto da http://www.liberazione.it/notizia.asp?id=3704
Un cane lupo con la bocca contratta in un ultimo tentativo
di respirare. Un bastardino bianco, buttato al margine
della strada, che sembra addormentato. E poi gatti,
colombe, conigli… Morti nelle loro gabbie, nei recinti,
nel giardino di fronte a casa. Morti, tutti, senza un
filo di sangue. Non si sa cosa può averli uccisi
ma, di certo, non erano né bombe né pallottole.
Forse gas?
Le immagini dei filmati girati a Falluja
che scorrono davanti agli occhi dei pochi giornalisti
presenti alla conferenza stampa organizzata dalle parlamentari
Elettra Deiana (Prc) e Silvana Pisa (Ds) nelle sale
della Fnsi sono tutte molto eloquenti, e molto, molto
peggiori del piccolo esercito di animali addormentati
che ti ritrovi davanti in apertura. Perché nei
video ci sono donne, uomini, bambini. Ci sono esseri
umani resi irriconoscibili da qualche oscuro rogo chimico,
armi capaci di staccare la pelle dal corpo in un istante,
visto che questi anonimi resti umani sono congelati
nell'atto di alzarsi dal letto o di ripararsi il viso
con il braccio. Una mano stringe ancora una catenina.
Qualcosa che assomiglia a una donna tiene fra le braccia
qualcosa che assomiglia a un bambino.
I filmati "amatoriali", riorganizzati
con un faticoso quanto presumibilmente straziante lavoro
da Barbara Romagnoli, sono stati realizzati il 18 novembre
2004 nella città ribelle di Falluja, a conclusione
dell'operazione Al-Fajr (letteralmente, l'alba) che,
secondo la Us Army, avrebbe dovuto distruggere definitivamente
la resistenza irachena. A operazione conclusa, come
di consueto gli americani hanno passato la mano agli
iracheni: una squadra di medici volontari è stata
autorizzata a entrare per "ripulire" la città
e per cercare di dare un nome ai numerosi corpi sepolti
in modo approssimativo durante il violentissimo attacco
cominciato l'8 novembre. Del gruppo facevano parte anche
gli autori delle riprese, Maher Rajab Abdullah (dell'ospedale
Yarmouk di Baghdad), Mohammad Hadeed (del Falluja general
hospital), che si sono dati da fare per riesumare i
corpi e dare un nome alle migliaia di vittime civili
che, fino a questo momento, nessuno s'è ancora
degnato di contare. Secondo gli americani i dieci giorni
di bombardamenti ininterrotti che hanno raso al suolo
36 mila case - praticamente una piccola città
- avrebbero prodotto non più di 1.200 vittime,
«quasi tutti insorti», rassicurano i generali,
mentre secondo fonti non ufficiali i morti sarebbero
fra i tre e i cinquemila, dei quali hanno ricevuto riconoscimento
e sepoltura soltanto in 700.
Resta il fatto che i dottori Abdullah
e Hadeed, una volta dentro la città proibita,
hanno pensato bene di filmare l'orrore sia per facilitare
i riconoscimenti che per spezzare la pesante censura
che argina qualsiasi informazione proveniente dall'Iraq,
in particolare le notizie provenienti dalle città
rase al suolo nell'ambito di una strategia di punizioni
collettive tanto barbara quanto inefficace. Ma, una
volta dentro, i medici non si sono soltanto ritrovati
di fronte alle immagini della carneficina che si aspettavano
- del resto cos'altro può accadere in una città
di 350 mila abitanti, chiusa dentro un cordone vietato
perfino agli operatori sanitari e bombardata ininterrottamente
per giorni? - ma sono stati costretti a porsi una domanda
estremamente disturbante, soprattutto per un professionista
dotato della formazione scientifica adeguata: di che
cosa è morta tutta questa gente? Quali armi possono
uccidere nel sonno senza ferire o, come testimoniano
i resti carbonizzati, bruciare la pelle di un essere
umano senza dargli nemmeno il tempo di contorcersi per
il dolore? Gas come quelli che Saddam aveva impiegato
contro i curdi? Bombe al fosforo o nuovi tipi di napalm,
entrambi proibiti dalle convenzioni internazionali?
Nessuna spiegazione richiede invece il
filmato girato a Baghdad che ritrae un altro morto,
anch'esso mostrato ai parlamentari italiani da Mohi
Al Din Al Obeidi, il rappresentante del consiglio degli
Ulema che ha accompagnato i due medici all'incontro
organizzato alla Camera da Silvana Pisa e Elettra Deiana,
- a cui hanno aderito anche Francesco Martone (Prc),
Gianfranco Pagliarulo (Pdci), Pietro Folena (Prc), Famiano
Crucianelli (Ds), Roberto Sciacca (Pdci), Giovanni Russo
Spena (Prc) e Alfiero Grandi (Ds). Il cadavere è
ancora ammanettato, e anche un profano capisce subito
cosa significa. Se alle manette si aggiungono le evidenti
tracce di tortura, ovvero ferite da trapano sulle spalle
e sulla nuca - uno strumento molto in uso, pare, durante
gli interrogatori condotti dal nuovo esercito iracheno
addestrato dagli americani - le conclusioni sono devastanti
quanto inaccettabili. In più l'uomo era un imam
- autorità religiosa sunnita - sparito nel nulla
da qualche settimana e restituito ai familiari già
cadavere. E non si tratta affatto di un caso isolato:
altri ottanta imam sono stati prelevati nelle loro case
e nelle moschee per sospetta complicità con gli
insorti, e di loro non si sa più nulla. Proprio
per ottenere la liberazione, o almeno qualche informazione
sulla sorte dei desaparecidos, le autorità religiose
sunnite hanno indetto un'iniziativa senza precedenti:
tre giorni di sciopero di tutte e moschee.
La delegazione composta
dai due medici e dal religioso, portata in Italia dall'Associazione
Italia-Iraq, sta cercando di dare maggiore diffusione
possibile alle raccapriccianti immagini di Falluja e
di Baghdad. Tutto il materiale visionato dai
parlamentari italiani - gli animali gasati, le persone
carbonizzate nella città distrutta e le riprese
della ricomposizione del corpo martoriato dell'imam
- è stato consegnato a una rappresentante del
governo inglese, che non ha rilasciato dichiarazioni.
Tornando a Baghdad la delegazione cercherà di
parlare con i pochi rappresentanti delle Nazioni Unite
ancora presenti nel paese per sollecitare ancora una
volta, filmati alla mano, un'indagine indipendente che
faccia luce sul tipo di armi impiegate - sperimentate?
- contro la popolazione di Falluja. Nel frattempo la
ricostruzione della città tarda a partire e i
risarcimenti, che secondo i prudentissimi calcoli di
Washington, dovrebbero aggirarsi sui 493 milioni di
dollari sono ancora soltanto virtuali. A sei mesi di
distanza ne sono stati stanziati appena cento milioni,
ma le 31 mila persone che aspettano cercando di sopravvivere
fra le macerie, non hanno ancora visto niente.
E' questa la guerra di liberazione in
cui sono impegnati i nostri soldati? E' questa la missione
sul cui ri-finanziamento i parlamentari italiani sono
chiamati a pronunciarsi? E su quali informazioni, su
quali notizie, su quali rassicuranti immagini, dovrebbe
basarsi la loro decisione? «Pensiamo che nell'attuale
contesto caratterizzato dal più totale black
out sulla vicenda irachena, dall'assenza di notizie
da quei luoghi e mentre perdura una drammatica situazione
di guerra» conclude Elettra Deiana «ogni
occasione che consenta di raccogliere informazioni e
materiale documentario sia da considerare positivamente,
fermo restando che tutto debba essere vagliato e verificato
quando la cortina di ferro che la coalizione anglo-americana
ha imposto su quel paese si sarà alleggerita».
Peccato che all'agghiacciante proiezione di queste immagini
fossero presenti così pochi giornalisti, evidentemente
troppo impegnati a partecipare attivamente alla caccia
all'immigrato per occuparsi di simili quisquiglie. Peccato
perché, anche se le immagini sono troppo agghiaccianti
per essere pubblicate, la loro visione sarebbe davvero
utile per capire a quale inesauribile sorgente d'odio
possono attingere le cosiddette "centrali del terrore"
per arruolare i propri martiri, oggi e per gli anni
a venire
Falluja, armi proibite:
perciò la Sgrena doveva morire
Maurizio Blondet – tratto da www.effedieffe.com
Dopo l’atroce battaglia di Falluja, l’armata americana
vi è entrata con bull-dozer e autobotti. I bull-dozer
hanno cominciato a scorticare il terreno tutto attorno
ai crateri di esplosione delle loro bombe. Hanno asportato
accuratamente 200 metri quadri di terreno attorno ad
ogni cratere, caricato la terra su autocarri e l’hanno
portata in località sconosciuta (1). La stessa
cosa hanno fatto con alcune delle case bombardate. Hanno
abbattuto gli edifici e portato via il materiale. Queste
operazioni sono state compiute soprattutto nei quartieri
di Julan e di Jimouriya, teatro dei più feroci
scontri, ma anche a Nazal, Mualmeen, Jubail. Attenzione,
solo “alcune” case sono state demolite. Quelle dove
erano cadute le “bombe speciali” usate dagli americani.
Le stesse che avevano formato i crateri accuratamente
ripuliti.
Di che bombe si trattava? Tutti gli abitanti di Falluja
che erano ancora in città durante i raid le hanno
descritte così. “Facevano una colonna di fumo
a forma di fungo. Poi, piccoli pezzi cadevano dall’aria,
con una coda di fumo dietro ogni pezzetto”. Cadendo,
questi “pezzetti” esplodevano con grandi fiammate che
“bruciavano la pelle della gente, anche quando vi si
gettava sopra dell’acqua. Molti hanno sofferto tanto
per questo effetto, combattenti non meno che civili”.
E’ la descrizione esatta degli effetti di bombe al fosforo,
molto usate dai liberatori anglo-americani contro Germania
e Giappone. Ma vietate dalle convenzioni internazionali,
e perciò sostituite dagli Usa con l’invenzione
del Napalm, mistura gelatinosa e adesiva di celluloide
sciolta in benzina che ha il “vantaggio”, come il fosforo,
di appiccicarsi alla pelle mentre brucia, ed è
molto più economico (brevetto Dow Chemicals).
L’uso del fosforo però è più “efficiente”
se lo scopo è di ridurre corpi umani a tizzoni
ardenti carbonizzati, con un effetto terroristico aggiuntivo.
L’uso di queste armi è un crimine contro l’umanità.
Ecco perché, dietro ai bull-dozer, il Pentagono
ha inviato anche grosse autobotti: le quali hanno “lavato”
con potenti getti forzati tutti i muri o quel che ne
restava in piedi, evidentemente per dilavare il fosforo.
E’ il tentativo di coprire il crimine, di farne sparire
le tracce.
Ciò potrebbe spiegare anche parte della sciagurata
avventura di Luciana Sgrena. Come si ricorderà,
la giornalista stava andando a un appuntamento con alcuni
profughi di Falluja quando fu, molto opportunamente
per i criminali di guerra, “rapita” da “insorti”. Altrimenti
avrebbe potuto raccontare di quelle bombe al fosforo,
cosa che non hanno mai fatto “i grandi giornali” neocon,
come il Corriere della Sera o il New York Times. Lo
stesso discorso si può fare per la francese Aubenas
di Libèration: sempre giornalisti di piccoli
giornali no-global poco controllabili dalla nota lobby.
Naturalmente, la Sgrena non ha saputo nulla: ha recitato
la parte che le è stata assegnata, “drammatizzando”
in video, e ascoltando i suoi rapitori ripetere che
in Irak “non vogliono nessuno”, nemmeno, anzi specialmente,
giornalisti simpatizzanti con la guerriglia; frasi che
acquistano un senso illuminante, se attribuite a “terroristi”
dal Pentagono. La sua tentata uccisione dopo la “liberazione”
con riscatto pagato dai contribuenti ai cosiddetti “insorti”
può essere interpretata forse come “una lezione”
da dare agli italiani. E va ascritta anche ad errori
da parte italiana. Il primo dei quali è non voler
capire chi è, in Irak, il nemico principale.
07.11.2005
Falluja: la città
bombardata con il fosforo dagli Usa
di Toni Fontana
Nella guerra in Iraq, decisa e combattuta per scovare
e distruggere le armi di distruzione di massa di Saddam
Hussein, mai trovate, sono stati usati da parte dell’Esercito
americano agenti chimici che hanno provocato la morte
di civili. È quanto emerge da un’inchiesta condotta
da RaiNews 24, che ha tra l’altro raccolto alcune testimonianze
di marines americani che hanno preso parte ad uno dei
più sanguinosi e soprattutto misteriosi episodi
della guerra in Iraq: l’assedio della città sunnita
di Falluja, che si è concluso un anno fa. In
quella occasione gli assalitori fecero largo uso di
fosforo bianco e napalm, armi che uccidono provocando
un calore intenso che “scioglie” i corpi o genera terribili
ustioni. L’uso del napalm durante la prima fase dell’attacco
terrestre nel sud dell’Iraq era noto ed era stato documentato
da reporter che avevano visto cadaveri di soldati iracheni
carbonizzati. Il Pentagono, dopo aver inizialmente cercato
di negare l’evidenza, ha ammesso l’uso del Napalm «verde»,
meno inquinante di quello usato in Vietnam, e dunque
«ecologico». I nemici muoiono, ma non inquinano.
Il filmato della Rai ricorda anche che armi dello stesso
tipo vennero usate da Saddam alla fine degli anni ottanta
per sterminare la popolazione curda.
Ora, grazie alle testimonianze raccolte da RaiNews 24,
si viene a sapere che non solo il napalm, ma anche il
fosforo bianco, sono stati usati anche nelle fasi successive
del conflitto con effetti devastanti come mostrano le
immagini del bombardamento di Falluja e soprattutto
le terrificanti fotografie che mostrano le vittime civili
dell’assedio della città sunnita che, ufficialmente,
cioè secondo il comando Usa ed il giornalisti
embedded al seguito, si è concluso con l’uccisione
di «2mila terroristi» e nessun civile. L’inchiesta
è stata presentata lunedì nei locali della
Federazione della Stampa dal direttore di RaiNews 24
Roberto Morrione, da Sigfrido Ranucci, il giornalista
che ha raccolto la documentazione e le testimonianze,
e dal curatore della trasmissine Maurizio Torrealta.
Oltre alle sconvolgenti immagini raccolte sul campo,
il filmato propone la testimonianza del marine Jeff
Englehart che tra l’altro dichiara davanti alla telecamera
di RaiNew 24: «Ero in missione a Falluja all’interno
della ranger zone, ero a 150 metri da dove si svolgeva
l’attacco, abbiamo ricevuto l’ordine diretto che qualsiasi
individuo che camminava o si muoveva era un obiettivo.
Quando siamo arrivati in Iraq c’era uno standard di
combattente: dai 18 al 65 anni, ma quando siamo giunti
a Falluja il target è sparito perché effettivamente
in città c’erano ragazzi di 10 anni che usavano
il mitra. A Falluja ho visto i corpi bruciati di donne
e bambini, il fosforo esplode e forma una nube. Chi
si trova nel raggio di 150 metri è spacciato.
Il fosforo brucia i corpi, addirittura gli scioglie».
Il soldato conferma anche che è stato fatto largo
uso degli agenti chimici: «Ho sentito per radio
l’ordine di fare attenzione perché veniva usato
il fosforo bianco, nel linguaggio militare viene chiamato
Willy Pete». Il filmato dimostra che, contrariamente
a quanto detto dal Dipartimento di Stato, il fosforo
non è stato usato in campo aperto per illuminare
le truppe nemiche. Per questo scopo sono stati usati
i traccianti. Questa pioggia di fuoco, scaraventata
dagli elicotteri americani la notte dell’8 novembre
(che si vede nel filmato Ndr) sta a provare che l’agente
chimico è stato usato in maniera massiccia e
indiscriminata. L’inchiesta propone anche la testimonianza
di Peter Kaiser, dell’ufficio Onu che si occupa del
controllo sugli armanenti, secondo il quale il fosforo
considerato «arma chimica» quando viene
utilizzato contro le persone e non come fumogeno o innesco
per altri tipi di bombe. L’inchiesta intitolata “Falluja,
la strage nascosta” squarcia dunque il velo che il comando
Usa ed il giornalismo al seguito ha creato attorno ad
un episodio cruciale della guerra, l’assalto di Falluja,
giustificato come necessario per colpire e distruggere
i covi di Al Qaeda.
Un esperto militare conferma all’Unità che «il
fosforo bianco penetra nella carne e continua a bruciare»,
ed aggiunge che la convenzione sulle armi chimiche non
vieta espressamente questi tipo di armamento. Il generale
Franco Angioni, oggi parlamentare Ulivo-Ds, fa notare
che «fosforo bianco e napalm sono tecnicamente
elementi chimici. Il fosforo, quando viene a contatto
con l’ossigeno, sprigiona un forte calore che può
provocare ustioni anche di terzo grado. Chi si trova
in quell’area non ha scampo. I trattati internazionali
vietano in primo luogo l’uso di gas asfissianti o irritanti.
Negli anni 80 alcuni stati proposero, ma senza riuscirvi,
di vietare anche napalm e fosforo bianco che sono considerati
armi letali ed svolgono un’azione deleteria, agendo
tuttavia in un ambito circoscritto, hanno 50-100 metri
di portata. Napalm e fosforo non possono dunque essere
considerate armi di distruzione di massa, ma, tecnicamente,
si tratta di elementi chimici».