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Peter polak e Milan
Furin
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Peter
Polak |
di Ivana Taccori
Era il 15 ottobre 1988 e dalla città di
Cagliari prendeva il via la 5° “Super Maratona
dei Nuraghi” – corsa a piedi - Cagliari-Sassari
Km. 254 no stop, organizzata dal CONI-FIDAL.
Alla partenza tantissimi; vi erano coloro che
avrebbero disputato la mezza Maratona, chi la
Maratona e chi la 100 km. fino a Oristano. Gli
atleti iscritti alla Super Maratona erano 25 e
non tutti sarebbero arrivati..
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Al
Howie
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L'ammiraglia |
Benché i personaggi di questo avvenimento
fossero tutti interessanti, due mi avevano colpito
particolarmente, ciascuno con una storia diversa.
Al Howie (scozzese) e
Peter Polak (Cecoslovacco).
Inizierò col raccontarti di Al
Howie.
......era il 1984 quando i medici che sottoposero
Al Howie, allora 38 enne, ad
un insieme d’esami, con grande freddezza gli dissero:
“hai un cancro al cervello e ti restano pochi
mesi di vita, ovvero una sola stagione”. Al
Howie stette a riflettere un poco e prima
che lo sconforto prendesse il sopravvento, decise
il da farsi. Forse pensò e ripensò
a quel che scrisse Shakespeare “....Quando
non si può trattenere quel che ci porta
via la mala sorte, la rassegnazione può ridurre il danno a un gioco. Il derubato che sorride,
ruba qualcosa al ladro: ruba a se stesso chi si
spende tutto in rimpianti vani”.
Decise allora di continuare a fare – dopo avere
accettato la realtà - quello che aveva
sempre fatto: “Correre”. Correre sino alla fine.
Ma la fine era ancora molto lontana e lui non
lo sapeva, poteva solo sperarlo, e di stagioni,
quando io lo conobbi ne erano passate tante.
Erano infatti trascorsi quattro interessantissimi
anni che lo avevano visto protagonista di tante
imprese, in quanto, dopo avere ascoltato la sentenza
dei medici, giurò a se stesso che avrebbe
sfidato la morte come uno dei tanti avversari
che era solito incontrare.
Le cronache infatti dicevano di lui che.....”
sta attraversando a piedi l’Europa per arrivare
entro il 15 ottobre a Cagliari, dove si schiererà
al via della ‘Supermaratona dei Nuraghi’.
Quando partì da Londra il 4 settembre,
Howie non diede più notizie
di sé agli organizzatori, ma non lasciò
alcun dubbio sulla sua puntualità alla
partenza. Da quando i medici lo diedero per spacciato,
infatti, lo
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Peter Polak e Ivana
Taccori
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Giancarlo Melis e
Milan Furin |
scozzese ha affrontato numerose analoghe traversate
nel Nord America, oltre ad aver stabilito il 7
novembre 1987 a Victoria, in Canada, il record
mondiale di corsa no-stop, percorrendo 580 chilometri
in 4 giorni, 8 ore, 29 minuti e 48 secondi”. Howie
riposava, come prevede il regolamento, 5 minuti
ogni ora, concedendosi un pisolino di 20 minuti
ogni sette ore. “Ho persino imparato a stringere
i lacci delle scarpe senza fermarmi” confessò
al termine della gara, al giornalista che lo intervistava”
.........Nel frattempo il tumore regrediva miracolosamente.
Diventò vegetariano dopo qualche giorno
che gli parlarono del suo tremendo male (ed attribuì
a questa sua scelta il suo miglioramento) e si
impegnò senza tregua in una costante caccia
ai record dell’ultra-fondo. Partecipò alla
corsa di 1.400 chilometri, che lo vide protagonista,
nell’attraversamento della Gran Bretagna, concludendola
in 11 giorni, 3 ore, 18 minuti. Il precedente
record fu di 22 ore e 41 minuti superiore.
Dunque, dicevo, era il 15 ottobre 1988 quando
scorsi i suoi piedi rasentare la linea di partenza,
in piazza Garibaldi a Cagliari. Vidi il suo viso
sereno attraverso la sua barba rossa. La compostezza
del suo fisico, la caparbietà di chi crede
nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Dicevo a me stessa che l’essere capaci di osservare,
cogliere gli insegnamenti della vita porta l’individuo
ad una vera ricchezza.
Benché in quell’occasione, Giancarlo ed io dovevamo occuparci, o meglio
eravamo stati designati quali giudici dell'atleta
cecoslovacco Peter Polak col numero di gara 163, avevo giurato a
me stessa che avrei cercato in tutti i modi di
seguire attentamente anche la sua impresa.
. C’erano in
palio grosse somme di danaro per i primi dieci
atleti che avessero tagliato il traguardo. Per
il nostro atleta nessuno aveva scommesso nulla......
e.......questa
é un’altra storia.
di Ivana taccori
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partenza:
Cagliari Piazza del Carmine.
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Partenza:
Piazza del Carmine. |
Il nostro ruolo consisteva nel controllare come giudici di gara, alla guida di una vettura al seguito, che l'atleta affidatoci effettuasse la corsa come
da regolamento. Ricordare che le soste consentite erano
ai bordi della strada per rifornimenti, massaggi,
cambio indumenti e necessità primarie,
cacca e pipì, non era consentito dormire, pena
la squalifica.
Con Giancarlo ci si alternava nella guida ed a turno cercavamo
in tutti i modi di affiancare l’atleta
correndo assieme a lui soprattutto nei momenti di grande sconforto. Quando
l’energie mentali venivano meno perché
il fisico accusava stanchezza.
Dicevo, appunto, che nessuno avrebbe scommesso
una lira su di lui. D’altronde era specialista
nei 100 chilometri e ne avrebbe dovuto correre
254. Ma io che credevo e tutt’oggi continuo a
credere nei miracoli, perché sono spesso
la risultante della grande volontà che
c’é in noi, scommettevo senza poterlo confessare
ad alcuno, che Peter Polak avrebbe
calpestato l’erba della pista campo CONI di Sassari.
......Gli accordi alla partenza furono: un cenno
che significava porgergli il bottiglione di vetro
(che era il suo corredo per l’impresa) con dentro
i sali. Altro cenno che stava a significare il
bisogno di ricorrere all’acqua zuccherata. Alla
fetta di mela. Al pezzo di formaggio e così
via... Un segnale di stop per i bisogni primari
escluso dormire e badando attentamente che non
si tornasse indietro per nessun motivo.
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Giancarlo
Melis, Milan Furin e Peter Polak.
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Quali giudici avevamo diritto a tre pasti in
ristorante. Ben evidenziati sul cruscotto, i buoni
che sarebbero stati tradotti in pasti luculliani,
rimasero ben conservati sino alla fine dell’impresa,
perdendo l’utilizzo. Nulla era più importante
di far arrivare Peter Polak a
Sassari. Avevamo diviso con lui i momenti di sconforto,
di stanchezza, di angoscia. Avremmo controllato
la fame con lo stesso pezzo di formaggio, pane
e acqua.
Vi giuro, é vero, io non ricordo altro.
Inoltre, non ricordo di avere corso così
tanto in vita mia. Non capisco ancora come sia
stato possibile percorrere tanti chilometri alternandomi
alla guida dal sabato mattina alla domenica sera.
Ma Peter Polak ce l’ha fatta.
Arrivato al campo Coni di Sassari, l’interprete
traduceva una sua dichiarazione: “Questo arrivo
qui io lo devo principalmente a Ivana, senza di
lei sarebbe stato irrealizzabile. Io stesso non
ci ho mai creduto. Lei non mi ha lasciato alternativa
perché credeva fermamente che “volendo”
sarei potuto arrivare, bastava crederci e lei
più di me ci credeva: non mi ha permesso
di mollare”.
Quelle parole non mi stupirono perché ero
impegnata mentalmente a ringraziare lui per la
felicità che mi aveva regalato: avrebbe
portato a casa una congrua somma in una realtà
familiare di grande indigenza.
Venivano premiati i primi dieci arrivati e lui
si era classificato nono ! E gli echi di coloro
che non avrebbero scommesso una lira su di lui
si erano smorzati nella leggera brezza di una
domenica sera speciale che si lasciava alle spalle
un caldo torrido che toglieva il respiro.
Quando era stanco, stremato si aggrappava al mio
nome:”Ivana, Peter caput. Ivana, Ivana, Ivana,
Peter caput”.
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Peter
Polak, Milan Furin, Giancarlo Melis.
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Peter
e Ivana.
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Ed io rispondevo: “Peter Sassari, Peter Sassari,
Sassari, Sassari”.
Scoprivo col vivergli accanto che conosceva due
canzoni italiane: “avanti popolo” e “Azzurro”
di Celentano. Furono le sole due canzoni che come
una litania cantavamo per non crollare in un profondo
sonno che sarebbe stato funestato da incubi perché
Sassari attendeva il mio atleta.Tutto l’altro
comunicare era fatto di gestualità badando
bene a non disperdere energie preziose nei movimenti.
........Poi la sua mimica facciale mi trasmette
un segnale di forte dolore, il dito indice e medio
della sua mano destra mimano le forbici. Non capisco
- gli dico. Non ho con me nessuna forbice.
Capisco poi che vorrebbe tagliarsi la punta delle
scarpe. Stiamo percorrendo la lunga salita per
Cuglieri. Come nemico un forte vento pungente
e contrario. Gli stavo davanti per tagliargli
il vento, per fargli un poco da scudo anche se,
ne sono certa, non avrei dovuto.. Era calato su
di noi il nero mantello della notte. Nell’oscurità
si intravedevano a tratti gli occhietti rossi
delle telecamere atte al controllo. Peter incominciava
a cedere al forte sonno. Alla stanchezza Non disperare
Ivana, - dicevo a me stessa – é solo un
momento. Infatti, dopo, sussurrandomi “tutto ok.”
riprendeva la sua corsa. Ed io chiedevo stremata
il cambio a Giancarlo e mi mettevo alla guida
dell’auto. Almeno un poco stavo seduta.
La mia sosta come quella di Giancarlo era unicamente
per andare ad acquistare qualcosa da mangiare
per noi e per Peter: Pane ,frutta, acqua e caffé.
Tanto caffé.
Ora, tutti quanti voi, provate ad immaginare
l’abbraccio forte tra “noi tre” distesi sull’erba
del Campo Scuola con la faccia verso il manto
celeste che si tingeva di scuro. Quanto era bello
quel cielo! E quanto era grande il sollievo di
Peter mentre gli toglievano di dosso le scarpe
mentre i suoi piedi si gonfiavano all’unisono
da sembrare due palloni di calcio. Che mi importa,
pareva pensasse Peter, avranno tempo per sgonfiarsi
prima di intraprendere un nuovo cammino. Una nuova
corsa. Ed ora io penso: Veri uomini, lontano dal
doping”. Io Peter Polak non l’ho
più visto. Ma quando mi torna in mente
lo immagino che corre sereno lungo le strade della
vita.
Tornammo tutti a Cagliari la sera stessa dopo
avere mangiato una montagna di gnocchi al sugo
offerti al campo.
La stanchezza era immane, la felicità di
più. Tornarono all’Hotel Mediterraneo di
Cagliari con noi nella nostra ammiraglia: Peter
Polak, 9° classificato – raggiante
come il sole; Al Howie, 7°
classificato – dormì in posizione fetale
durante tutto il tragitto, scese con la lettiga;
Milan Furin, Cecoslovacco, ricercatore
universitario – raccontava durante il viaggio
che correva per incrementare il misero salario
e permettere ai suoi figli di proseguire gli studi
- 8° classificato. Arrivò “primo” l’anno
precedente Io mi alternavo con Giancarlo alla
guida dell’auto mentre calcolavo la somma che
avrei dovuto riscuotere qualora si potessero tradurre
in mille lire, ogni pizzico che mi davo al collo
per mantenermi sveglia.
E’ finito. A me rimane il ricordo e il grande
insegnamento di vita.
Ciao Bruno, a presto
Bruno,
siamo sempre di più ! Aspettiamo il tuo
ritorno!
“conta
i fiori del tuo giardino e non le foglie secche
che cadono”
E’ doveroso pubblicare
quanto Marco ha scritto, perché é
un “inno alla vita”
Ciao Ivana!
Sono Marco, il figlio di Bruno.
Leggere l'articolo che hai voluto
dedicare a papà è stato davvero
molto bello e commovente... ma non sono solito
soffermarmi troppo su queste emozioni, me le godo
intensamente e poi giù di nuovo a capo
chino a combattere questa battaglia per la Vita.
Bruno ha di fronte un ostacolo che, per molti,
sarebbe impossibile persino solo voler affrontare!
Lui ha deciso di affrontarlo alla maniera di Peter
Polak, cioè contando solo sulle sue forze,
abbandonando la Velenosa medicina tradizionale...
e lo sta facendo ALLA GRANDE... ripeto ALLA GRANDE,
come pochi riuscirebbero a fare!
Noi, vale a dire la famiglia e gli amici, abbiamo
ora il compito che Tu e Giancarlo avevate nella
Cagliari - Sassari con Peter: dobbiamo tirargli
fuori tutto il coraggio, la speranza, la fiducia
e la voglia di VINCERE, perchè Bruno ce
la può fare davvero a scalare di nuovo
i passi dolomitici.
Nel suo sorriso di questi giorni, seppur con dolori
e sofferenza, c'è tutta la voglia di vivere
ancora quelle splendide emozioni.
Nei momenti di tristezza piangeremo con lui...
nei momenti di gioia rideremo con lui e quando,
con l'ultima TAC, non ci sarà più
evidenza del tumore tutti insieme lo festeggeremo!
Grazie di Cuore.
Marco, Silvana e Silvia
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