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dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando

UOMO DI FERRO

Francoforte - L'ironman di Carlo Alberto Melis


"...L’Ironman è un drago che non perdona, si insinua nei tuoi punti deboli e ti attacca dall’interno. Se sei timoroso di annichilisce, se sei spavaldo ti incenerisce. Ma se hai coraggio e umiltà, si inchina e ti rende gli onori dovuti ai valorosi..."

Ho sognato di essere il primo giornalista a fare 3,8 km di nuoto, 180 di ciclismo e 42,195 di corsa. Ce l’ho fatta

Nella capitale finanziaria dell’Europa le quattro del mattino possono avere il sapore indigesto di un paio di fette di pane molliccio con prosciutto crudo. Fuori dal piccolo hotel, nascosto tra i grattacieli, il Romerberg, la piazza del municipio di Francoforte è ancora immersa nel silenzio di un’alba speciale.

 

Sì, è il gran giorno. Il giorno giusto per diventare un Ironman. Da quel giorno del 1978, in cui 15 valorosi hawaiiani accettarono una sfida folle (disputare di seguito i 3,8 km della Waikiki Rough Water Swim, i 180 km della Bicycle race around Oahu, i 42,195 km della Honolulu Marathon), ogni triatleta ha sognato di completare quella prova: l’Ironman, appunto. Io sono tra questi.
Dopo dieci mesi di allenamenti, sacrifici, rinunce (e dopo una notte insonne), sono di fronte al più terribile dei miei sogni, al più dolce degli incubi, al giorno in cui le più alte aspirazioni possono avverarsi o le peggiori paure materializzarsi. L’Ironman non è una gara, è tutto. Giri per mesi intorno a una montagna, poi, finalmente cominci la tua scalata. E se sei pronto lo scopri quando è troppo tardi per rimediare.
Il sole della Renania è ancora pallido quando la navetta ci trasporta sulla riva del lago di Langener.

 

Nel recinto di transizione, dove prenderemo la bicicletta al termine della frazione di nuoto, 1700 aspiranti ultimano i preparativi. Sono teso come un pivellino, ma concentrato. Ho annotato meticolosamente su un taccuino tutto ciò che devo fare, cosa dovrò indossare per nuotare, per pedalare, per correre. So da giorni cosa mangerò in ogni momento della gara. So che faticherò, che soffrirò, che andrò in crisi e che mi sentirò meglio, che sprofonderò nella disperazione e che mi esalterò. Ma alla fine arriverò a quella maledetta linea. Ho pensato a questa gara ogni giorno in cui il sole è sorto negli ultimi dieci mesi. Ho vissuto per arrivare a quel traguardo, per essere uno dei primi dieci sardi a riuscirci. Tutto ciò che ho fatto dovrà trovare una ragione laggiù, sul Romerberg, dove la gioiosa bolgia del tifo raggiunge l’apice. Ma il cuore batte forte, la tensione aumenta, mentre ci avviciniamo al laghetto, dove alcune centinaia di cuffiette gialle già si preparano. Entro nell’acqua torbida, cerco qualche bracciata di ambientamento, raggiungo la linea di partenza.

 

Sì, accidenti, ci sono anch’io. Sono in ballo, con i professionisti, con gli altri intrepidi, molti dei quali esordienti, come me. Sollevo lo sguardo verso il pubblico, sulle sponde. Tante volte sono stato da quella parte. Assistere a un Ironman è un’emozione e uno spettacolo straordinari, ma partecipare è un’altra storia. È una festa di compleanno in cui sei tu a soffiare sulle candeline. Puoi sentirti un leone, un eroe, un semidio. Oggi lo sei e la gente sulla strada te lo dimostra ogni momento. La cultura sportiva dei tedeschi è stupenda. Penso al nostro calcio, ai processi, alle moviole, ma il vero sport è questo.
Sale alto l’inno tedesco, urlano i padroni di casa che sono il 70 per cento dei partenti. «Vediamo quanti ne batto», penso tra me e me, in un moto nazionalista. Poi tutto finisce, tutto tace, anche i pensieri: ecco lo sparo, si parte.
L’acqua è una tonnara schiumosa e pensare di nuotare bene è utopia. Tanto vale tenere la testa fuori per un po’. E poi le note della cavalcata delle Walkirie inondano l’aria e non voglio perdermele: è una sensazione inebriante. In un continuo pugilato, il nuoto finisce e, dopo un’ora e un quarto sono in sella. Mi aspettano 180 chilometri, ma li ho già fatti in allenamento e posso rifarli in gara. Ogni quarto d’ora, la sveglia mi ricorda che devo nutrirmi. Un pezzetto di barretta energetica, o di banana, acqua, sali, zuccheri e carboidrati liquidi.

Il sole si fa più caldo, la fatica aumenta in modo esponenziale, ma quando si attraversano i paesi, tra due ali di folla, è una doccia di energia. Non si può spiegare. «Sono in battaglia e non cederò, questo è sicuro. Tutta questa gente è qui per me, solo per me e io non li deluderò». Guardo i cartelli che snocciolano i chilometri che mancano, mi immagino di doverli percorrere sulle strade di casa, chiamo l’applauso della gente che non aspetta altro. Donne, bambini, ragazzi e ragazze, anziani. Tutti sono in strada per spingere gli eroi: gli uomini (e le donne) d’acciaio.
Arrivo in zona cambio, lascio la bici e indosso le scarpe da corsa. So che sono solo a metà dell’opera. «Sinora hai faticato, ora dovrai soffrire»: è ora di dimostrare di essere un iron man. È ora di osare.

L’Ironman è un drago che non perdona, si insinua nei tuoi punti deboli e ti attacca dall’interno. Se sei timoroso di annichilisce, se sei spavaldo ti incenerisce. Ma se hai coraggio e umiltà, si inchina e ti rende gli onori dovuti ai valorosi.
Mi resta da affrontare l’ultima fatica. Ora sono solo le mie gambe che mi devono sostenere. Non ci saranno forature o guai meccanici a fermarmi. «Se la tua testa comanda, le gambe obbediranno»: è vero. La mia forza interiore cresce passo dopo passo: supero quasi 400 persone nelle ultime 3 ore e 40’ di corsa e sento che nulla mi fermerà.

Sono in ballo da oltre dieci ore, ma l’unica cosa che vedo davanti a me è un arrivo trionfale e liberatorio. Mi basta un po’ di pazienza, devo solo lasciar scorrere il terreno sotto i piedi. Le gambe sono dure, pesanti, ma non rallentano. Non sono autorizzate a farlo. Sono in completo controllo e la coscienza di esserlo è un carburante formidabile.

Mancano “solo” venti chilometri, poi dieci, poi cinque. «Tra poco ti sentirai in Paradiso», mi prometto. Ho il tempo di godermi la scena, di esporre una bandierina con i quattro mori, di salutare la gente.
Finalmente l’arrivo, dopo 11 ore e 20 minuti, la più grande gioia della mia vita.

Da giornalista ho interrogato gli Ironman per scoprire cosa si prova: nessuno è mai riuscito a farmelo capire. Per questo sono dovuto andare a vedere di persona. Ora, non chiedetemi di tradurre in parole quelle emozioni perché non ne sarei capace. Posso solo dirvi che ce l’ho fatta, non so neppure io come, ma ce l’ho fatta. Sono un Ironman.


Carlo Alberto Melis