UOMO DI FERRO
Francoforte - L'ironman
di Carlo Alberto Melis
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"...L’Ironman è un drago che non perdona,
si insinua nei tuoi punti deboli e ti attacca dall’interno.
Se sei timoroso di annichilisce, se sei spavaldo ti incenerisce.
Ma se hai coraggio e umiltà,
si inchina e ti rende gli onori dovuti ai valorosi..."
Ho
sognato di essere il primo giornalista a fare 3,8 km di nuoto, 180
di ciclismo e 42,195 di corsa. Ce l’ho fatta
Nella capitale finanziaria dell’Europa le quattro del mattino possono
avere il sapore indigesto di un paio di fette di pane
molliccio con prosciutto crudo. Fuori dal piccolo hotel,
nascosto tra i grattacieli, il Romerberg, la piazza del
municipio di Francoforte è ancora immersa nel silenzio
di un’alba speciale.
Sì,
è il gran giorno. Il giorno giusto per diventare
un Ironman. Da quel giorno del 1978, in cui 15 valorosi hawaiiani
accettarono una sfida folle (disputare di seguito i 3,8
km della Waikiki Rough Water Swim, i 180 km della Bicycle
race around Oahu, i 42,195 km della Honolulu Marathon),
ogni triatleta ha sognato
di completare quella prova: l’Ironman, appunto. Io sono
tra questi.
Dopo dieci mesi di allenamenti, sacrifici, rinunce (e
dopo una notte insonne), sono di fronte al più
terribile dei miei sogni, al più dolce degli incubi,
al giorno in cui le più alte aspirazioni possono
avverarsi o le peggiori paure materializzarsi. L’Ironman
non è una gara, è tutto. Giri per mesi intorno
a una montagna, poi, finalmente cominci la tua scalata.
E se sei pronto lo scopri quando è troppo tardi
per rimediare.
Il sole della Renania è ancora pallido quando la
navetta ci trasporta sulla riva del lago di Langener.
Nel recinto di transizione, dove prenderemo la bicicletta
al termine della frazione di nuoto, 1700 aspiranti ultimano
i preparativi. Sono teso come un pivellino, ma concentrato.
Ho annotato meticolosamente su un taccuino tutto ciò
che devo fare, cosa dovrò indossare per nuotare,
per pedalare, per correre.
So da giorni cosa mangerò in ogni momento della
gara. So che faticherò, che soffrirò, che
andrò in crisi e che mi sentirò meglio,
che sprofonderò nella disperazione e che mi esalterò.
Ma alla fine arriverò a quella maledetta linea.
Ho pensato a questa gara ogni giorno in cui il sole è
sorto negli ultimi dieci mesi. Ho vissuto per arrivare
a quel traguardo, per essere uno dei primi dieci sardi
a riuscirci. Tutto ciò che ho fatto dovrà
trovare una ragione laggiù, sul Romerberg, dove
la gioiosa bolgia del tifo raggiunge l’apice. Ma il cuore
batte forte, la tensione aumenta, mentre ci avviciniamo
al laghetto, dove
alcune centinaia di cuffiette gialle già si preparano.
Entro nell’acqua torbida, cerco qualche bracciata di ambientamento,
raggiungo la linea di partenza.
Sì, accidenti,
ci sono anch’io. Sono in ballo, con i professionisti,
con gli altri intrepidi, molti dei quali esordienti, come
me. Sollevo lo sguardo verso il pubblico, sulle sponde.
Tante volte sono stato da quella parte. Assistere a un
Ironman è un’emozione e uno spettacolo straordinari,
ma partecipare è un’altra storia. È una
festa di compleanno in cui sei tu a soffiare sulle candeline.
Puoi sentirti un leone, un eroe, un semidio. Oggi lo sei
e la gente sulla strada te lo dimostra ogni momento. La
cultura sportiva dei tedeschi è stupenda. Penso
al nostro calcio, ai processi, alle moviole, ma il vero
sport è questo.
Sale alto l’inno tedesco, urlano i padroni di casa che
sono il 70 per cento dei partenti. «Vediamo quanti
ne batto», penso tra me e me, in un moto nazionalista.
Poi tutto finisce, tutto tace, anche i pensieri: ecco
lo sparo, si parte.
L’acqua è una tonnara schiumosa e pensare di nuotare
bene è utopia. Tanto vale tenere la testa fuori
per un po’. E poi le note della cavalcata delle Walkirie
inondano l’aria e non voglio perdermele: è una
sensazione inebriante. In un continuo pugilato, il nuoto
finisce e, dopo un’ora e un quarto sono in sella. Mi aspettano
180 chilometri, ma li ho già fatti in allenamento
e posso rifarli in gara. Ogni quarto d’ora, la sveglia
mi ricorda che devo nutrirmi. Un pezzetto di barretta
energetica, o di banana, acqua, sali, zuccheri e carboidrati
liquidi.
Il sole si fa più caldo, la fatica aumenta
in modo esponenziale, ma quando
si attraversano i paesi, tra due ali di folla, è
una doccia di energia. Non si può spiegare. «Sono
in battaglia e non cederò, questo è sicuro.
Tutta questa gente è qui per me, solo per me e
io non li deluderò». Guardo i cartelli che
snocciolano i chilometri che mancano, mi immagino di doverli
percorrere sulle strade di casa, chiamo l’applauso della
gente che non aspetta altro. Donne, bambini, ragazzi e
ragazze, anziani. Tutti sono in strada per spingere gli
eroi: gli uomini (e le donne) d’acciaio.
Arrivo in zona cambio, lascio la bici e indosso le scarpe
da corsa. So che sono solo a metà dell’opera. «Sinora
hai faticato, ora dovrai soffrire»: è ora
di dimostrare di essere un iron man. È ora di osare.
L’Ironman è un drago che non perdona, si insinua
nei tuoi punti deboli e ti attacca dall’interno. Se sei
timoroso di annichilisce, se sei spavaldo ti incenerisce.
Ma se hai coraggio e umiltà, si inchina e ti rende
gli onori dovuti ai valorosi.
Mi resta da affrontare l’ultima fatica. Ora sono solo
le mie gambe che mi devono sostenere. Non ci saranno forature
o guai meccanici a fermarmi. «Se la tua testa comanda,
le gambe obbediranno»: è vero. La mia forza
interiore cresce passo dopo passo: supero quasi 400 persone
nelle ultime 3 ore e 40’ di corsa e sento che nulla mi
fermerà.
Sono in ballo da oltre dieci ore, ma l’unica
cosa che vedo davanti a me è un arrivo trionfale
e liberatorio. Mi basta un po’ di pazienza, devo solo
lasciar scorrere il terreno sotto i piedi. Le gambe sono
dure, pesanti, ma non rallentano. Non sono autorizzate
a farlo. Sono in completo controllo e la coscienza di
esserlo è un carburante formidabile.
Mancano “solo”
venti chilometri, poi dieci, poi cinque. «Tra poco
ti sentirai in Paradiso», mi prometto. Ho il tempo
di godermi la scena, di esporre una bandierina con i quattro
mori, di salutare la gente.
Finalmente l’arrivo, dopo 11 ore e 20 minuti, la più
grande gioia della mia vita.
Da giornalista ho interrogato
gli Ironman per scoprire cosa si prova: nessuno è
mai riuscito a farmelo capire. Per questo sono dovuto
andare a vedere di persona. Ora, non chiedetemi di tradurre
in parole quelle emozioni perché non ne sarei capace.
Posso solo dirvi che ce l’ho fatta, non so neppure io
come, ma ce l’ho fatta. Sono un Ironman.
Carlo Alberto Melis
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