In
un dossier del governo scritto sei mesi prima della
guerra si indicava la provincia
irachena come località strategica per l'Italia.
In un dossier
del governo scritto sei mesi prima della guerra
si indicava la provincia irachena come località
strategica per l'Italia
ROMA - Siamo
in Iraq per il petrolio. Certo anche per scopi umanitari
e di salvaguardia dell'immenso patrimonio archeologico
di quel paese - non a caso la missione si chiama
"Antica Babilonia" - ma l'oro nero c'entra
e come.
L'inchiesta di Sigfrido Ranucci,
in onda oggi su Rai News 24, documenti alla mano,
prova a dimostrarlo. E non sarebbe nemmeno un caso
che i nostri militari siano stati dislocati a Nassirya
e non altrove, perché il capoluogo della
provincia sciita di Dhi Qar era proprio il posto
in cui volevamo essere mandati. Perché? Perché
sapevamo quanto ricca di petrolio fosse quella zona.
In gran parte desertica, ma letteralmente galleggiante
su un mare di quel preziosissimo liquido che muove
il mondo.
Un vecchio accordo tra Saddam e
l'Eni, che risale a metà degli anni Novanta,
per lo sfruttamento di un consistente giacimento
(2,5-3 miliardi di barili) nella zona di Nassiriya
induce quantomeno a sospettarlo. Così come
qualche dubbio lo insinua lo studio commissionato
dal ministero per le Attività produttive,
ben sei mesi prima dello scoppio della guerra, al
professor Giuseppe Cassano, docente di statistica
economica all'università di Teramo. Un dossier
nel quale si conferma che non dobbiamo lasciarci
scappare l'occasione in caso di guerra di basarci
a Nassiriya, "se non vogliamo perdere - scrive
Cassano - un affare di 300 miliardi di dollari".
Qual
è il problema?, si chiederanno molti. In
fondo che male c'è se dopo aver preso parte
a una missione così onerosa e rischiosa,
alla fine ce ne viene qualcosa? Salvaguardare "anche"
il buon andamento dei nostri affari petroliferi,
suggerisce il sottosegretario alle Attività
Produttive Cosimo Ventucci, intervistato da Ranucci,
è una scelta "intelligente".
Certo, bastava ammetterlo - questa
la tesi di Ranucci - e rispondere alle interrogazioni
parlamentari in materia senza nascondersi dietro
formule di circostanza. Ammettere che in realtà
la ragione petrolio era tanto più importante
di quella umanitaria: "Ho cercato di occuparmi
di progetti di ricostruzione - denuncia Marco Calamai,
che ha lavorato con il governatore di Nassiriya
per un periodo - ma la ricostruzione non è
mai veramente partita. L'America esporta la democrazia
a parole, in effetti ne ha impedito la crescita
dal basso".
I nostri carabinieri hanno pertanto
scortato barili di petrolio e sorvegliato oleodotti.
E la strage di Nassiriya, come ha scritto il corrispondente
del Sole24 Ore Claudio Gatti all'indomani dell'attentato,
non era diretta contro il nostro contingente militare,
ma contro l'Eni.
D'altronde, l'Iraq è la
vera cassaforte petrolifera del pianeta. Con scorte
che secondo Benito Livigni, ex manager dell'americana
Gulf Oil Company e successivamente dell'Eni, sarebbero
superiori a quelle dell'Arabia Saudita: "Secondo
una stima le riserve dell'Iraq ammonterebbero a
400 miliardi di barili di petrolio, e non i 116
dei quali si è sempre parlato. Nel Paese
ci sono vaste zone desertiche non sfruttate".
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DI PACE...
la Repubblica, 13 maggio
2005
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