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Da
Firenze a Londra in Bicicletta
dal
23 novembre al 3 dicembre 1998
racconto di Ivana Taccori
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ALBUM FOTOGRAFICO
Chi ha sentito parlare
del raid Firenze Londra?
Dovevamo essere in dodici: sei uomini
e sei donne.
Siamo partiti in otto: quattro uomini e quattro donne,
più un angelo custode che ha guidato la macchina
d'appoggio, ovvero il mitico scudo blu stipato di borsoni
pieni di indumenti caldi, divise di ricambio, scatoloni
pieni di viveri per foraggiare la squadra durante le tappe.
Otto ruote. Due bici di riserva e la mitica scaletta grigia
d'alluminio che nessuno sapeva mai dove stipare.Più
tanta, tanta voglia di riuscire nell'intento.
Bene.
Per chi non lo sapesse, il raid Firenze-Londra è
un'iniziativa benefica ciclistica denominata "Bicicletta
Challange" che ha lo scopo di raccogliere fondi a
favore dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze per la
realizzazione di un Centro Medico Sportivo per adolescenti.
Un
centro specializzato soprattutto in cardiologia e fisiopatologia
respiratoria, dove potranno essere esaminati in maniera
approfondita tutti i ragazzi italiani e non, ritenuti
inidonei allo sport nei primi controlli di routine, e
stabilire se davvero per quei bambini è preclusa
o meno la strada della pratica sportiva. Inoltre, la bicicletta
Challange ha fatto sì che si creasse un gemellaggio
e un rapporto di collaborazione nel campo
medico e delle conoscenze con l'ospedale Londinese: il
Great Ormond Street Children's Hospital. L'obiettivo della
squadra è di riuscire a raccogliere 250 milioni
di lire per il Meyer…
1800 km o 1700 km? (chilometro più chilometro meno)
divisi in 12 tappe, dal 23 novembre al 3 dicembre 1998.
Il 23 novembre 1998, la città di Firenze si sveglia
con una temperatura di '0' gradi. L'inverno è in
netto anticipo. La squadra della bicicletta challange
è riunita in Piazza della Signoria, sull'Arengario
di palazzo Vecchio, salutata dal sindaco Primicerio, il
Console britannico Griffiths, il direttore del Meyer,
Bernabei, che consegnano alla squadra i plichi contenenti
una dichiarazione dei diritti dei bambini che dovranno
essere sottoscritti dalle città gemellate "REIMS"
e "CANTERBURY". La piazza è gremita di
curiosi, fotografi, cineoperatori, sponsor, ciclisti,
bla bla. Ci si prepara alla partenza… Una donnina dal
passo incerto e dal volto altero consegna al Capo gruppo
(nonché promotore e direttore tecnico della Bicicletta
Challange) Marco Ceri un enorme vassoio di dolci dichiarando:
"gli ho fatti io e i miei 89 anni… vi serviranno
per il lungo viaggio... che il cielo vi aiuti!".
C'è anche il fornaio che carica sul piccolo pulmino
un bustone di panettoni e pane fumante, formaggi, succhi
di frutta, acqua… cerca di non lasciare trasparire la
sua preoccupazione... ma non è abbastanza abile.
Si volta, ci guarda
tutti uno per uno e ci regala una sua benedizione mentre
nell'aria aleggia il dolce suono della banda musicale,
e il cielo, per
non essere dammeno si fa sentire mandando giù
qualche soffice fiocco di neve.
Si parte. Ci lasciamo alle spalle Firenze, la sua gente,
la sua generosità.
Un gruppo di ciclisti accompagna la squadra per un lungo
tratto. Prima tappa: 168 km.
Destinazione Reggio Emilia. Un forte vento si fa subito
sentire agitando le fronde degli alberi. Soffia contrario.
Poi di fianco. Poi si placa. Poi si sale. Si sale ancora.
C'è un'aria allegra, complici gli amici venuti
al seguito,
con l'intento di allontanare i preoccupanti pensieri.
Poi la natura ci viene incontro festosa srotolandoci
un bianco tappeto di neve. Dio mio, la neve! Dio mio…
gli Appennini ! ...Si sale. Si sale, mentre la neve viene
giù. Il silenzio cade tra di noi per la riverente
ammirazione del panorama imbiancato che si offre ai nostri
occhi.
Per me che vivo a Cagliari è un evento magico.
Incoscientemente mi scopro occupata a godermi l'incanto.
Altri
commentano preoccupati… "questa neve viene giù
con troppa generosità. Fa freddo. Molto freddo.
Nessuno si lamenta. Le ore del tempo corrono veloci, incuranti
del nostro disagio. Mentre io imploro la luce del giorno
a stare a lungo con noi. Finalmente si scollina ...ecco
Monte Piano… ci si ferma in un bar per una cioccolata
calda. Stentiamo a riconoscerci noi della squadra. Siamo
otto divise ripiene da otto corpi, dove all'altezza del
casco sotto un passamontagna si intravedono occhi carichi
di interrogativi: ce la faremmo? Ce la faranno? Tolti
i caschi e i
passamontagna
i nostri sguardi si incontrano.
La cioccolata viene giù che è una benedizione.
I ciclisti che ci hanno accompagnato ci salutano e ci
abbracciano forte. Qualche lacrima viene giù. Forse
no. E' solo un fiocco di neve che si scioglie, attraversa
il viso e va giù sino al cuore. Gli amici devono
fare a ritroso 70 km. Noi altri 100. Ma in quelle salite
è già nata l'amicizia.
Rimaniamo in nove. Chi siamo? Gli uomini si conoscono
bene. Sono tutti fiorentini. Luigi Brilli, ferroviere,
ciclista mancato per una brutta contrattura offre la sua
collaborazione facendoci d'autista. Marco Ceri "il
grande", "l'ideatore", "il Promotore"
svolge la professione di antiquario, Pietro Pecchioli
artista del legno, scultore, decoratore; Guido Camicciottoli
e Giancarlo Caroli artigiani raffinatissimi. Tutti
con l'esperienza del raid già vissuta il precedente
anno, con le sacche al seguito della bici e sulla testa
il cielo di luglio. L'altra metà del cielo invece
è composta da Alessandra Angioi di Massa, Lorenza
Stonfer di Trento, Marisa Guglielmetti di Milano e Ivana
Taccori di Cagliari, tutte impiegate esclusa Marisa che
nella vita si dà da fare a cogliere i primi vagiti
di coloro che si apprestano a conoscere la luce del sole.
Fa l'ostetrica.
Non ci conosciamo abbastanza per entrare in confidenza.
Siamo ancora guardinghe. Ci scrutiamo. In precedenza c'eravamo
sentite qualche minuto per telefono. Poi ci siamo viste
in luglio a Firenze all'arrivo della squadra inglese e
durante una conferenza stampa. In quella occasione salimmo
tutte
insieme a Fiesole in bicicletta…
fu bellissimo! Non sono preoccupata.
So di certo che ci unirà la grande passione per
la bicicletta e il profondo significato dell'impresa.
"Si deve ripartire subito prima che ci si abitui
al tepore interno e svanisca il coraggio di affrontare
il gelo. Usciamo e stentiamo a riconoscere le bici. Sono
quasi completamente ricoperte di neve. Ci apprestiamo
a disseppellirle. Nel cambio si è formato il ghiaccio.
Le tacchette non si incastrano ai pedali. Bisogna battere
forte e frantumare gli strati di ghiaccio. Pedaliamo con
molta attenzione.
C'è una lunga discesa che ci costringe a procedere
con lentezza per non cadere. Io cerco di seguire il rigagnolo
che formano le bici che mi precedono.Ho freddo alle mani.
Non sento più le dita. Voltandomi vedo Lorenza
che infila le dita alla bocca per scaldarle col fiato.
La discesa finisce, si pedala per Castigliondei Pepoli
con la neve che imperterrita continua a venire giù.
Finalmente lo Spazzaneve. Ma provvede nella corsia contraria.
Ed ecco una macchina! …e tutti a godere del tepore illusorio
che emana unmotore.
La discesa ti ghiaccia ma la salita ti crea persino
arsura per la fatica. Premo forte la borraccia per fare
uscire un filo d'acqua ghiacciata, poi come un miraggio,
scorgiamo la macchina d'appoggio. Luigi ci segnala coi
fari che
dobbiamo fermarci. Un solo istante per offrirci un sorso
di bevanda calda. E' la salvezza. Si va e si va. Ci si
fruga nei taschini alla ricerca di cibo. Si butta dentro
ogni cosa. Occorre bruciare più carburante possibile.
Il corpo non deve freddarsi.
Più in là, smette di nevicare e mentre
avanziamo il mantello di neve si ritira e riappare il
grigio dell'asfalto della strada infinita. 50 km. ancora.
Ci regaliamo una breve sosta, per mangiare e far pipì.
Reggio Emilia! Reggio Emilia ! Forse arriviamo. Arriviamo
che è notte fonda perché nessuno è
riuscito a trattenere la luce del giorno .
Seconda
tappa Voghera. Poi Torino dove ci viene incontro di nuovo
la neve. Si pedala verso le Alpi. Il freddo mi assale
e mi riduce in un fuscello tremante. Guardo lontano verso
la linea del tramonto e un cielo plumbeo si unisce alla
montagna ed io penso
e ripenso alle speranze racchiuse nel volto dei bambini
che attendono. Ce la faremo. Ne sono certa.
Mi volto, a cercare lo sguardo di chi mi segue, cercando
di carpire i pensieri. Sento una grande stretta al cuore
nell'incrociare due occhi dallo sguardo incoraggiante.
Mi sento forte. Questa grande tangibile umanità
la vedo già a Londra. Sono trascorsi tre giorni.
Tre eternità per comprenderci e volerci bene. A
Susa ci informano che il passo del Moncenisio è
chiuso per ghiaccio. Non ci danno alternativa e ci si
organizza per salire sul treno sino a Modane.
Siamo in Francia! Si pedala con la strada ghiacciata
sino a Sant Janne de Maurienne paese bellissimo. Si prende
possesso delle stanze, in albergo, una caldissima doccia.
Si fa il bucato e si stende tutto e subito sui termosifoni
e ci si concentra tutti in una stanza a chiacchierare
e a brindare.
Poi, tutti lindi. Tutti dentro alla nostra divisa da riposo
(grazie sponsor). Si va a mangiare; la cena? Il momento
più bello... "Buona Notte.
Domani tutti in piedi alle sette. Sette e trenta colazione.
Le bici tutte a destra. Partenza alle otto. Ed io grido:
voglio la mamma!!!!…" Vado a letto.
Divido la stanza con la mia inseparabile compagna Alessandra
e le sue manie. Immancabili la borsa dell'acqua calda
per non so dove (in quanto in camera c'è un caldo
estivo) e la borsa del ghiaccio per il suo ginocchio destro.
Poi squilla il telefonino e prima che le batterie si scarichino
riusciamo a trovarlo tra la marea di cose che in un batter
baleno è riuscita a spargere nella stanza trasformandola
in un mercatino delle pulci.
C'era di
tutto, dalle immancabili arance e mele, agli oli e cremine
varie, al golfino piumato con su gli yogurt alla frutta.
Il primo giorno mi ha spaventata. Il secondo meno. Il
terzo le ho voluto bene.
Tanto tantissimo.
Era autentica. Era così come la si vedeva immersa
in un mondo tutto suo pronta a lasciar spazi a chi le
chiedeva di entrare... Mi ami? ma quanto mi ami? Mi pensi?
Ogni notte così… faceva il sunto della situazione
attraverso le onde dell'inseparabile telefonino, mandava
tremila baci poi la comunicazione si interrompeva ed io
finivo di pensare ai miei cari: Cielo..! gli avrei rivisti?
Sarei sopravvissuta?
Ci addormentiamo stecchite appena sfioriamo il cuscino
per poi svegliarmi di soprassalto
al grido "In piedi, sono le sette!!!"
Ed io urlo angosciata: Chi è stato a rubarmi le
ore?"
Apro la finestra e scopro che siamo state murate. Dio!
Il panorama non c'è più! Poi capisco: "Era
la nebbia". In bagno spetta a me. La colazione. La
divisa da indossare. Il passamontagna. Il casco. I guanti
da neve. I bagagli da caricare. Il controllo delle bici.
Le bici tutte a destra (non capirò mai perché).
Sono le otto meno due minuti. Si parte. Le tasche delle
nostre divise gonfie di viveri. Un attimo!!! Mi scappa
la pipì.
Il pulmino è stracarico di neve, ci raggiungerà
poi per un ennesimo the caldo. Forse un panino. Un dolce.
Una frutta. Chissà .
Tutto al volo. Con questo freddo non ci si può
fermare.
Si va piano per il ghiaccio. L'asfalto in Francia è
rugoso e la fatica è maggiore. Marisa ci tiene
su il morale raccontandoci le disavventure di pippo, il
maiale che si ostina a traghettare sul manubrio.
E' alto 5 centimetri, è di gomma color rosa è
ha una bandana che gli copre l'occhio destro. E' il nostro
porta fortuna. Cantiamo sotto ai nostri passamontagna.
La squadra è un'unica forza. Una meta, una sola:
Londra!
Raggiungiamo Belley, pernottiamo in un bellissimo convento.
Poco distante siamo ospiti in una distilleria di liquori
d'erbe di famosi frati; la sbornia è assicurata.
La mattina dopo troviamo di nuovo la nebbia. Ognuno di
noi non deve perdere di vista il colore della mantellina
di chi lo precede. Si pedala in silenzio, un silenzio
interrotto dai camion che sfrecciano roboanti come volessero
sfidare il nostro sistema nervoso. Noi, possiamo solo
sentirli. Io ho paura. Ho molta paura, ma taccio. Pedalo
in silenzio. Anche i telefonini che avevamo per comunicare
tra di noi, taciono, come se avessero il fiato sospeso.
Poi come d'incanto anche la nebbia si dirada. Si pedala
e si pedala... Scorgiamo lontano la macchina d'appoggio.
Quell'alone blu con i fari intermittenti ci aspettava.
Rappresentava la nostra speranza. Luigi, autista, amico
paziente, si affaccia al finestrino e con le premure di
una brava mamma ci chiede: Avete bisogno di qualcosa?
La prossima meta è Tournuss, paesetto suggestivo,
abbarbicato sulle montagne, dove i piatti li offrono abbondanti
e succulenti, ma si deve litigare per il pane. Dijon,
massimo centro della Borgogna, ci accoglie silenziosa.
Pernottiamo a Saint Seine-l'Abbaye e salutandola, la
mattina seguente ci regala all'istante una interminabile
salita accompagnata da una gelida e fitta pioggia.
Dobbiamo
rassegnarci a proseguire per 130 km. sotto la pioggia
che non ci abbandona per un solo istante. Durante il percorso
mi assale un forte dolore. Non riesco più a pedalare.
Scopro che devo immancabilmente far pipì. Il
centro abitato è lontano. Anticipo di qualche metro
il gruppo e ai bordi della strada provvedo. Svelta Ivana.
Fai più in fretta che puoi. Gli indumenti si freddano.
Il corpo pure. Strizzo bene il giubbino e la mantellina
prima di rindossarla. Fortuna, è ancora calda.
Mangia Ivana. Mangia finche puoi. Mangia e brucia, questo
è il segreto.
La pioggia ci terrà compagnia sino a raggiungere
Troyes. Nella hall dell'albergo, prima che ci consegnino
le chiavi delle stanze, io mi sono già liberata
di tutti gli indumenti bagnati, comprese le scarpe, avvolta
solo nell'accappatoio che sfilo dal borsone vado alla
ricerca della mia stanza, portandomi dietro l'immancabile
bagaglio.
Finalmente un po’ di relax! La notte è tranquilla
e il tempo nel frattempo si placa e la mattina il cielo
ci regala clemenza, portandoci colori e bellezze su quelle
strade francesi, lunghe, nervose e rugose.
Eccoci finalmente a Reims, città gemellata. Città
dello champagne.
Città ceduta agli inglesi nel 1420 e tornata alla
Francia nel 1429 per opera di Giovanna d'Arco. Andiamo
incontro alla stupenda Cattedrale di Notre-Dame uno
dei più splenditi monumenti dell'arte gotica. Arriviamo
stanchi, sporchi, trafelati, sfiniti. Troviamo ad attenderci
le personalità del luogo e il giornalista Duccio
Moschella della Nazione (che proseguirà con noi
il resto del percorso).
Io quei baci e abbracci forti sotto la mia stanchezza
e la sporcizia che ci portavamo dietro ad ogni tappa,
non li dimenticherò mai. L'accoglienza nel palazzo
comunale è commovente alla presenza del sindaco
Jean Falala.
Tante le personalità prodighe a firmare la "Carta
dei diritti del bambino" il tutto suggellato da un
meraviglioso brindisi a champagne.
Ma quel nodo in gola che tutti sentivamo non ci ha impedito
di apprezzare, subito dopo, tutti insieme,
nel villaggio olimpico, l'abbondante buffè.
Il più è fatto. Si va. Si va più
carichi. Più fiduciosi. La squadra è aumentata.
Duccio, fresco come una rosa, si sacrifica più
degli altri e taglia il vento in testa al gruppo. L'umore
è alto. Marisa risveglia pippo e rincalzano le
battute sul mitico maiale di gomma.
Si pedala cantando mentre ci accorgiamo che attorno la
natura ha ripreso i suoi colori e profumi.
Ci accompagnano pensieri ottimistici. Giancarlo mi spiega
il significato fiorentino di "...te se bella pinata".
Pietro ha ripreso un po' di colore sulle gotte. Non ha
più la febbre e la gola gli fa meno male. Guido
il saggio, più tranquillo di tutti, sta sempre
in coda a chiudere il gruppo. Marco, con la forza di un
bisonte, sta davanti ad elucubrare pensieri innovativi.
Cip, ovvero, Lorenza sempre pronta a scattare in salita
e Alessandra, tanto arguta a carpire le occasioni della
vita.
La prossima meta è St. Omer. Poi, sfidando l'aria
gelida e il vento, immancabilmente contrario, arriviamo
a Calais, città della Fiandra, porto sulla Manica
che con un abbraccio lungo 32 km mette in comunicazione
il Mare del Nord con l'Oceano Atlantico.
Ci imbarchiamo sul traghetto con la stanchezza dei 166
km. Ci voltiamo a salutare la Francia. Accantoniamo la
sua lingua e la sua moneta e lo sguardo è subito
colpito dalle leggendarie bianche scogliere di Dover:
Falesie alte, gessose, ampie e ripide. Appaiono come sentinelle
del tempestoso e burrascoso braccio di mare della Manica.
Dover. Dolce Dover, ci porterai dritti a Canterbury,
l'altra città gemellata, dove ci attende lo Sceriffo,
una grossa donnona. (non sapevo esistesse in Inghilterra
la figura dello sceriffo per giunta donna!).
Ci si lascia il traghetto alle spalle e ci si accinge
a pedalare su per la scogliera quando un urlo violento
squarcia la mia anima: "Tutti a sinistraaaaaaaa!!!!!!!"
Già, eravamo nel Regno Unito. Bene, tutti a sinistra,
si pedala sulle strade di sua Maestà la Regina.
Allora. Si procede lungo la Contea di Kent per Canterbury.
Si arriva che sono le 15,00, pardon le 14,00 ora inglese
e sono già calate le tenebre. La squadra si confonde
in una marea di gente. I nostri occhi sono subito rapiti
dalla magnificenza della cattedrale, una delle più
grandiose e celebri d'Inghilterra, che fu edificata sul
luogo della chiesa eretta da Sant'Agostino. Riflesse nelle
acque del fiume Stour, che attraversa la città
ricordandomi a tratti Venezia, grosse nubi temporalesche
si addensano sulle torri monumentali e sui portali della
Cattedrale.
E' un brutto presagio: domani pioverà. Firmata
la carta dei diritti del bambino, spenti tutti i riflettori
e conclusasi tutta l'Ufficialità andiamo a mangiare
e subito a dormire con stretta in pugno l'imminente vittoria.
E' vero, stavolta non ero in giro per le regioni d'Italia
a gareggiare, non avevo alle calcagne la Winning Time,
non c'erano le classifiche da verificare, il palco delle
premiazioni.
C'era solo un cuore grande da far pulsare.
Ultima tappa. La squadra ha subito lentamente una metamorfosi
diventando una cosa tutt'una. Non so come ciò sia
potuto accadere, mai uno screzio, mai un litigio. Chi
si è messo a far miracoli?
La strada per Londra è bruttissima. Percorrere
la Statale, unica alternativa, è giocare alla roulet
russa.
Viene giù la pioggia inglese che pare sia più
ostile. Penetra il nostro corpo. Quasi lo lacera. Fa molto
freddo. Questo maledetto gelo non ci abbandona. C'è
il vento che si insinua in quei centimetri quadrati che
abbiamo scoperti.
C'è di tutto. Guai. Guai a chi ci ferma.
Ora no. Non si può. Londra è alle porte.
Eccoci! Il Big Ben!!!!!! E' finita. Finita. Ringraziamo
la sorte. C'è tanta gente ad attenderci assieme
alla squadra dei ciclisti inglesi che a giugno ha fatto
il raid in senso inverso:
il console italiano Gallo, la direttrice Elisabeth Wilmott
(coordinatrice dei due ospedali), i primari degli ospedali.
Ma quel che colora di più la grigia giornata londinese
è il sorriso dei bambini del Great Street Ormond
Children's Hospital.
E' giunto nel frattempo marzo.
La Nazione di Firenze scrive sul suo giornale..."I
piccoli eroi della Firenze Londra domani 13 marzo si limiteranno
a salire... le scale di Palazzo Vecchio, dove in Sala
di Lorenzo troveranno i 'Fiorini' alla solidarietà
da appuntare sul petto..."
E la squadra si rincontra in quella occasione, giusto
il tempo per sentire dal direttore Marco Ceri: "Nel
2000 si va ad Oslo!" E noi? Siamo pronti a partire.
Grazie.
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Lorenza,Marisa,Ivana,Alessandra
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Firenze P.zza Della Signoria
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Continua
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