Giro
di Sicilia 1998
Cicloturisti
o cicloamatori?
L’importante é restare uniti: Pedalare alla
morte, saltare i rifornimenti, ignorare il paesaggio e
alla fine fermare il cronometro su medie superiori ai
40 chilometri orari. Pedalare placidamente, assaporare
ogni ristoro, scattare foto e non informarsi del tempo
ottenuto. Due filosofie agli antipodi.
E’ stato detto: non sarebbe il caso di separare questi
“mondi” creando due diverse gare da tenersi in giorni
diversi (il sabato e la domenica)? Dopo mesi di dibattito
la stragrande maggioranza
dei ciclisti ha dichiarato di non amare questa idea. Il
fascino di queste manifestazioni sta proprio nella loro
capacità di unire persone diversissime per estrazione
e cultura facendole soffrire e gioire insieme. E’ fondamentale
che tutti partecipino avendo gli stessi diritti e doveri...abolendo
ogni tipo di discriminazione. L’importante é restare
unit: E’ l’appello di una granfondista, ecco il suo pensiero:
(cicloturismo novembre 1999)
Racconto di Ivana Taccori.
“Quell’esperienza in Sicilia mi ha fatto capire che…”
C’è davvero qualche problema? Mi sforzo per trovarlo
e scopro che lo devo inventare. Il problema dunque esiste
ed è alquanto importante. Sta rannicchiato dentro
la nostra testa. Noi e le nostre ostinazioni con la depressione
per non essere capaci a viverci “tutto” e prendercela
poi con colui che ha creato il mondo e non ha fornito
l’uomo del dono dell’ubiquità: “Una Ivana fa la
cicloturista e l’altra Ivana fa l’agonista” scoprendo
che non avrebbe funzionato lo stesso, perché uno
avrebbe cercato di eliminare l’altro per incapacità
di convivenza.
Pensate davvero che non si possa convivere, nella stessa
giornata, con entrambe le cose? A noi la scelta: Nessuno
ha mai bendato gli occhi di coloro, che, incuranti delle
classifiche, si attardano a contemplare il panorama o
a legare le mani di chi vuole graziarsi delle squisitezze
che si trovano a volte ai ristori. Non mi risulta che
qualcuno mi abbia impedito di far calare la frequenza
cardiaca per riuscire a cogliere per intero la storia
dell’amico appena conosciuto: Parlo del tempo della vita,
non certo quello scandito dall’ingegno della diabolica
“Winning time” che spesso o a volte ti ruba i profumi,
i colori, i suoni dello spazio infinito che la vita ci
regala, che si offrono a noi mentre stiamo abbarbicati
in equilibrio sulle nostre fiammanti e costose bici. E
non siamo contenti.
Spesso i miei orizzonti sono stati una ruota lucente
e due gambe affilate e i suoni, che non dovevo lasciarmi
sfuggire, erano costituiti dal cambio della catena sui
pignoni pur sempre veloci, facendo imbestialire la mia
voce interiore che ricordava il tempo che buttavo alle
ortiche. Ed io scoprivo che sudare e soffrire era piacevole
lo stesso. E quanto era bello quando quella voce invadente
mi convinceva a distrarmi un secondo riuscendo a carpire
immagini belle e sfuocate strappando a me stessa la promessa
che sarei presto tornata a tradurre le immagini offuscate
in immagini chiare. Che bello la volta che vinse l’impulso
interiore e ai bordi di una vallata avvolta dal suo grande
verde mantello lasciavo spaziare lo sguardo lontano riempiendo
il profondo di un benessere raro e indirizzando gli occhi
poi al cielo per ringraziare “Qualcuno di così
tanta bellezza.
Ma che triste lo scorso anno, alla “gran fondo” in Sicilia
(Campionato Italiano Master), al ricordo delle mie incertezze
di fronte a un fatto che poteva rivelarsi drammatico per
colui che mi stava alla ruota da tanti chilometri, di
cui conoscevo solo il faticoso ansimare. In me la voce
stordente di recuperare il tempo precedentemente perso
per aver sbagliato strada. Avevo da difendere il mio terzo
nella classifica nazionale. Vai Ivana, vai più
forte che puoi, mi urlava la voce interiore.
Mi giro un istante e vedevo volare giù dalla scarpata
il ciclista che avevo alla ruota. Il gran botto era costituito
dal colpo sul guarda rail che non gli ha risparmiato di
scaraventarlo giù con la sua inseparabile bicicletta.
Chi mi precedeva, non si accorse di nulla mentre io seguivo
imperterrita la sua ruota. La classifica! La classifica
pensavo. Mi spiace ma non posso fermarmi. Poi un urlo
lacerante mi parte dal profondo, fa sanguinare l’anima
e un sapore amaro di disgusto m’invade la bocca. Per fortuna
in quel momento non avevo uno specchio dinanzi. Informo
subito il mio compagno di squadra. Urlo che voglio tornare
indietro. Urlo più forte: “Al diavolo la classifica!”.
Torno indietro piena di paura e un groviglio di uomo
e bici mi appaiono, poi come d’incanto, si sveglia e torna
alla luce. Un grande sollievo al giungere dell’autoambulanza.
Ripartiamo. Al traguardo scopro che il terzo posto mi
era stato sfilato con un distacco di circa mezz’ora ma
la stretta di mano e il sorriso che mi ha regalato la
sera, sul tardi un ciclista dal volto tumefatto e dal
corpo pieno di abrasioni, valgono più di un primo
posto. Ed io ringrazio la voce interiore. Allora é
proprio difficile essere umani?
Restiamo
uniti e lasciamo andare chi vuole andare. Non curatevi
di me se a volte sono una di loro. Che ci importa se quando
si arriva al traguardo, spesso ricchi di esperienze vissute
nel nostro collezionare chilometri, li troviamo ad attenderci
da ore, tutti lindi a contarci e ad osservarci, con rispetto
o con compassione o chissà... Magari incapaci di
viversi esperiense diverse.
Restiamo uniti vi prego ! Uniti con tutte le nostre diversità,
dove le ideologie, etnie, religioni, classi sociali e
professioni, all’interno di questa coloratissima umanità,
composta da migliaia di ciclisti, riescono a convivere
perfettamente e con rispeto.
Ivana e Maria Canins a Parma
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Parma:
dopo la gara, si rientra a casa con la Tirrenia
- al centro Giuseppe Solla.
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