Ti
rispondo dicendo che abbiamo il dovere di non
tacere. Grazie, Ivana.
----- Original Message
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From: maury
To: Chilometrando
Sent: Wednesday, October 19, 2005 12:26 AM
Subject: Fw: Riflessioni libere
Ciao Ivana, ciao Giancarlo,
spero che sia tutto a posto, i miei bimbi crescono vivaci
e felici. Il papà e la mamma sono completamente
estasiati da questa esperienza unica ed incredibile...Ti
invio queste mie riflessioni fammi sapere cosa ne pensi.
Saluti Maurizio, Linda, Glenda & Nicolò.
Cari amici,
sabato scorso mi è capitato di comprare il Corriere
della Sera (solamente perché era finito "La
Repubblica").
Sfogliandolo mi sono trovato davanti questo articolo
dal titolo abbastanza inquietante:
"Hanno lasciato morire la figlia down"
Il pm: i genitori l'hanno sempre tenuta nascosta. Ora
sono indagati per omicidio colposo.
Il contenuto di questo articolo è facilmente
comprensibile, la storia riguarda una famiglia di Monreale
in provincia di Palermo. Il giornalista Enzo Mignosi
propone un articolo estremamente schematico, nel quale
presenta prima un quadro generale della situazione,
poi parla in maniera estremamente superficiale sia della
bimba morta che della sua famiglia limitandosi ad accennare
al fatto che aveva una sorellina gemella che "stava
benissimo". Successivamente passa molto velocemente
a descrivere il comportamento dei genitori, i quali
messi alle strette dalle pessime condizioni della bimba
si vedono costretti a portarla presso l'istituto materno
infantile della zona, dove la bimba inizia a ristabilirsi
ma dal quale viene poco dopo portata via nonostante
il parere contrario dei medici. Si arriva così
al mese di febbraio quando la bimba muore soffocata
da un pezzo di pane e nessuno in casa si accorge dell'accaduto.
Molto velocemente la bambina viene sepolta, senza che
nessuno si chiede il come ed il perché di questa
morte, fino a quando non arriva una telefonata ai carabinieri
che dà inizio alle indagini, con la riesumazione
del cadavere, l'autopsia, le perizie e gli interrogatori.
Da queste prime indagini viene appurato che la bambina
al momento della sua morte ossia a tre anni di vita
pesava 3,5 kg.
Con queste parole finisce l'articolo. Quando ho finito
di leggerlo mi sono chiesto quali fossero le intenzioni
di questo giornalista che scrive un pezzo come questo
senza cuore senza voglia di denunciare quanto accaduto
ma soffermandosi solamente ad una sintetica e superficiale
rendicontazione dei fatti.
Ho provato a dare tante ipotesi, ma sinceramente non
riuscivo a capire il senso di quanto da lui scritto,
ed ogni tentativo perdeva all'improvviso di ogni consistenza
e significato.
Ragionando ho poi compreso che in realtà i giornalisti
d'oggi raramente decidono di investigare su un argomento
per cercare di comprenderne i motivi del perché
e del come succedono certi fatti, soprattutto quando
non c'è di mezzo qualche personalità di
spicco dello spettacolo, della politica, dell'IMPRENDITORIA
e dell'ALTA finanza nostrana o dello sport (CALCIO).
Ma ancor di più quando non riescono a spetacolarizzare
il tutto con un articolo sensazionalistico, creando
lo scoop.
Tutte queste mie critiche per questo povero "ignaro
giornalista" trovano fondamento nella speranza
che le indagini portate avanti dal sostituto procuratore
Laura Vaccaro, vadano ben oltre a quanto detto dall'ignaro
giornalista.
Ossia come è possibile che accada una cosa del
genere e che nessuno si renda conto molto tempo prima
del rischio a cui andava incontro questa povera bambina.
Leggendo la storia, dalla quale le responsabilità
oggettive della famiglia sembrano più che evidenti
ed inopinabili, le prime domande che mi sono posto sono
state:
Ed il pediatra dove era? La bambina pesava solamente
3kg!!!!!
Ed i medici dell'istituto materno infantile, hanno espresso
parere contrario all'interruzione della cura ricostituente,
ma cosa hanno fatto?
E se hanno contattato i servizi sociali, questi alloro
volta come si sono attivati?
Supponendo che non avessero ricevuto alcuna comunicazione
in merito, possibile che un bambino una volta nato non
sia sottoposto ad alcun tipo di controllo, che una copia
di genitori possa decidere della vita o della morte
del proprio figlio senza che nessuno si accorga di nulla?
Dopo pochi mesi dalla nascita quanto meno si deve provvedere
periodicamente a portare i bambini a fare i vaccini,
con richiami annuali per diversi anni? Ma nessuno ha
sentito o visto nulla?
Ed in fine, ma non meno responsabili, è possibile
che in questa vicenda non caratterizzata da un raptus
violento, ma per dei maltrattamenti continui e reiterati
nel tempo sfociati poi in tragedia, nessuno si sia accorto
di nulla, neanche un vicino, un parente, un familiare,
un amico.
Questa povera bambina abbandonata al suo destino sin
dalla sua nascita senza che tutta la nostra grande società
civile sia stata in grado di aiutarla, di curarsi di
lei, di crearle un futuro.
Io per primo, da genitore, mi sento responsabile di
quanto accaduto, e di come anche dopo la sua morte nessuno
abbia cercato di farle giustizia raccontando come è
stata la sua vita, come sia nata diversa non per la
sua condizione di persona con disabilità, ma
perché con un destino già segnato dalla
sua condizione di assoluto abbandono.
Ognuno di noi dovrebbe farsi un esame di coscienza pensando
bene al proprio ruolo all'interno di questa società,
che troppo spesso si autoreferenzia, senza sottoporsi
ad una reale valutazione delle proprie capacità,
dimenticandosi troppo spesso di chi non riesce ad urlare
il proprio disagio.
Quindi noi come associazioni di persone con disabilità
ci dobbiamo mobilitare perché certe cose non
accadano più e perché il nostro movimento
sia capace di dare voce agli esclusi, agli emarginati,
AI SILENZIOSI IN GENERE CHE DIFFICILMENTE RIESCONO A
TROVARE I GIUSTI SPAZI PER RECRIMINARE I PROPRI DIRITTI.
Se non saremo capaci di fare questo, avremmo fallito
su ogni fronte del nostro agire, e tutte le nostre battaglie
e le nostre parole perderanno di significato, ed ogni
conquista sarà solamente un passo in avanti che
ci omologherà ad una società incivile
di conseguenza saremo automaticamente sconfitti
Per questi motivi e per altri cento dobbiamo continuare
nel nostro operato, essendo sempre più forti
e determinati, consapevoli di doverci battere per il
nostro e per un futuro diverso e migliore per i nostri
figli.
Saluti Maurizio Atzori.
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Original Message -----
From: <vincent.....@tiscali.it>
To: "Chilometrando" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Tuesday, September 13, 2005 10:45 AM
Subject: GRAZIE x le foto!!!
Ciao Ivana,
prima di tutto: complimenti per il sito (cosa
che ho scordato di fare nella mail precedente!),
ma soprattutto per le iniziative sia sportive
che benefiche che organizzate con la Vostra associazione.
In secondo luogo:
GRAZIE MILLE per le foto che non sono per me (io
sinceramente preferisco il jogging al Poetto piuttosto
che la bici), ma per mio padre (ciclista a livello
amatoriale e grande appassionato di ciclismo)
...per questo non
mi conosci e non mi hai individuato nelle foto!
Ancora GRAZIE e ancora tantissimi complimenti!
Continuate così ...ad majora!
Vincenzo Brancia
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Original Message -----
From: roberto coss
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Thursday, September 08, 2005 8:00 AM
Subject: x Ivana
Ciao Ivana, sono Roberto il
figlio di Paolo Cossa ho visitato solo oggi
il vostro sito, complimenti
per l'impegno e la grinta che
mostrate.....
siete proprio una bella cricca..!!!quasi
quasi prendo la bici a babbo e vengo con voi..tanti
saluti
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Original Message -----
From: "Carlo Alberto Melis"
To: "Chilometrando" <chilometrando@tiscali.it>
Ciao ragazzi,
volevo dirvi un po' di cose al telefono,
ma a casa non ci siete e allora le
scrivo.
Primo: il motivo della chiamata era recuperare
i recapiti di Giorgio.
Secondo: quanto prima avrò bisogno
di compagnia perché adesso torno
in bici.
E sapete che adoro i lunghi lenti fatti
con voi.
Terzo, invio quanto da voi richiesto: la
foto. Sono all'arrivo della Maratona di
Reggio Emilia di domenica scorsa, chiusa
col tempo di 2.51'38", che costituisce
il mio nuovo primato personale. La Maratona
ti dà sempre emozioni intense e che
durano nel tempo.
Perciò, siccome tra i tanti pensieri
che hanno alimentato la mia mente nei
42,195 c'è stato anche quello di
voi due e delle cose che abbiamo fatto assieme,
mi viene da pensare che un po' di merito
di questo risultato sia anche vostro. Perciò
vorrei che trascorreste delle feste piene
di quella gioia intensa e calda che ho provato
io all'arrivo.
Un abbraccio,
Carlo Alberto
----- Original Message
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From: <arbotandem@noos.fr>
To: <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Thursday, December 16, 2004 7:25 PM
Subject: Re: Un tandem pour l'union
Nous avons pris tardivement
connaissance de votre mail qui nous a fait très
plaisir. Nous vous remercions de votre gentillesse
et de votre intérêt pour notre projet.
Nous avons longé la côte ouest de
la Sardaigne pour rejoindre la Corse. A ce jour,
nous sommes dans le Sud de la France où
nous profitons de notre séjour pour une
remise en état de notre tandem après
6000 kilomètres parcourus.
Nous poursuivons notre périple et allons
descendre sur l'Espagne et le Portugal où
nous devrions passer deux mois avant de poursuivre
vers les pays nordiques.
Si vous souhaitez produire un article sur notre
périple, il vous est possible de vous inspirer
de l'article presse figurant sur notre site internet.
Il est dommage que nous n'ayons pas pris le temps
de discuter plus longuement ensemble, mais nous
pouvons correspndre avec vous régulièrement
si vous le souhaitez.
Il est difficile pour nous de regarder nos messages,
car là où nous passons (souvent
en pleine campagne) nous n'avons pas la possibilité
d'aller sur internet.
Mais notre fille consulte régulièrement
notre messagerie et nous fait part du courrier
que nous recevons. Nous pourrons donc vous répondre.
En France, les gens pensent beaucoup aux fêtes
de Noël. Nous passerons quant à nous
le réveillon quelque part sur les routes
du sud de la France en direction de Barcelone.
Nous profitons de ce moment particulier pour vous
souhaiter de bonnes fêtes de fin d'année
et vous adressons toutes nos sportives amitiés.
A très bientôt
par mail
Nelly et Francis ARBOGAST
Da: "Massimo
Falcone"
A: <chilometrando@tiscali.it>
Cc:
Oggetto: complimenti!!!
Inviato: Tue, 9 Nov 2004 17:25:44 +0100
Complimenti!!!
finalmente un sito che parla di ciclismo e di
persone che non hanno bisogno dell'ultimo modello
di guarnitura al carbonio o del telaio superleggero
per sentirsi bene con se stessi e con il mondo!!!
bravi continuate cosi.
tanti saluti a voi e alla vostra bella terra da
un ciclista meno fortunato (abito a Roma)
Sebastiano Falcone
----- Original
Message -----
From: ass cult sarda deledda pisa
To: ivana taccori
Sent: Tuesday, August 24, 2004 8:39 AM
Subject: visita sito
Cara Ivana,
forse questo mex è una ripetizione,
scusami ma non sono sicuro che quello inviato
direttamente dal tuo sito sia andato a buon
fine.
ti dicevo che sei stata bravissima e ti ringrazio
tanto a nome dei ragazzi, dell'associazione
e mio in particolare. i ragazzi li rivedrò
a settembre per cui ho segnalato il sito a qualche
genitore che è già rientrato
per lavoro.
ho dato uno sguardo ai grafici del tour dolomitico,
da brividi! complimenti.
saluti cordialissimi,
Gianni Deias
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Original Message -----
From: Sandro Mocci Tiscali
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Monday, August 16, 2004 10:07 PM
Subject: Otto anni dopo
Cari Ivana e Giancarlo,
vi trasmetto il file della lettera che,
se vorrete, potrete pubblicare. Intendo rimettermi
a scrivere, con la solita ironia, storie di ciclisti
e di biciclette. Ne ho alcune in cantiere….
A presto Bye, bye
Otto anni dopo. Cagliari, agosto 2004.
Antefatto n°1.
Dopo tanti anni di studio, poco moto e conseguente
grasso, finalmente sono tornato in bicicletta.
Non che non pedalassi più, tutt’altro.
Tuttavia si trattava di uscite poco impegnative,
senza programmi, senza stimoli, senza motivazioni.
All’inizio del 2004 ho preso il coraggio a due
mani e ho deciso di partecipare al Giro delle
Dolomiti. È stata più che dura.
A natale 2003 pesavo 95 chili. A Bolzano mi hanno
accompagnato gli 83 più tenaci di questi
95. Erano ancora troppi. Comunque sono arrivato
alla fine. Ultimo assoluto, ma dentro la graduatoria.
Altri duecento ciclisti, per un motivo o per l’altro,
non sono entrati.
Il Giro delle Dolomiti, come le stagioni o i frutti
dell’orto, non è più quello di una
volta. Troppo tecnologico, troppo specialistico.
Troppi scalatori veri. Non c’è spazio per
i grassi, eroici e ironici allo stesso tempo.
Non si ride più: tutti col naso all’insù
a controllare le classifiche, all’arrivo.
Ma non è del Giro delle Dolomiti che devo
scrivere; o, meglio, non ora. Devo scrivere del
perché mi sono rimesso a scrivere. Il primo
motivo è la fatica dello studio. Rompere
la routine. Bene, la bicicletta va benissimo allo
scopo. E scrivere dei ciclisti è divertentissimo,
perché i ciclisti sono la categoria umana
più divertente, proprio perché la
più umana.
Ho ancora in bozza un testo del 1996, otto anni
fa, che raccontava l’epopea della mia squadra:
il GS Amatori Cagliari. Era un libro spassosissimo,
ma non trovò un editore. Forse aveva qualche
pecca compositiva, qualche ingenuità stilistica
da neofita. Però piaceva. Tanti, che conoscevano
i personaggi, si sganasciavano dalle risate! Forse
il limite era proprio questo: bisognava conoscere
i personaggi, averli incontrati per strada, averne
sentito parlare; ma in questo modo il racconto
non era universale, cioè non valeva per
tutti. A Gallarate non avrebbero riso, o almeno
non subito (posto che a Gallarate abbiano voglia
di ridere, così vicini ad Arcore…). Tuttavia
lo lessero in tanti, uomini di cultura, noti e
valenti giornalisti. Ne mandai una copia anche
al compianto Adriano De Zan, che passava le ferie
da noi, a Stintino. Piacque molto a tutti. Ma
la stroncatura, solenne e inappellabile, venne
dal tempio della letteratura: un docente di Lettere
dell’Università di Cagliari lo lesse e
sentenziò che, a mala pena, sarebbe servito
ad una locandina della pro-loco, per via di certe
descrizioni paesaggistiche dei percorsi del racconto.
Anzi, mi consigliò, prima di scrivere ancora,
riconoscendo le mie qualità, di studiare
seriamente letteratura, leggendo, per esempio,
Fenoglio, Camilleri e Sergio Atzeni.
Seguii in parte i suoi consigli: comprai molti
Camilleri, ma li deposi presto; non era il mio
genere. Per studiare seriamente lo feci, ma in
altre discipline. Scrissi molto, ma di altri argomenti;
di ciclisti e di biciclette, mai più. L’epopea
degli Amatori Cagliari giacque, da allora, in
un cassetto, anzi in un hard-disk.
Antefatto n°2.
Alle Dolomiti c’erano anche Ivana e Giancarlo,
vecchi amici di pedale e, a suo tempo, miei entusiasti
lettori. Mi parlarono del loro sito in Internet
e delle loro iniziative bici-mediatiche, anche
letterarie. Mi colpì, in particolare, il
loro attaccamento ad un comune amico che in quel
momento affrontava una salita assai più
tosta delle nostre. Mi piacque il loro progetto
di sostenere l’amico, anche scrivendo. Lo farò
anch’io, molto presto.
Bene, questi sono gli antefatti. Il fatto è
lo scrivere di nuovo. Ma scrivere di bicicletta
è un’iniziativa anche simpatica, che rimane,
tuttavia, circoscritta ai pochi o numerosi amici
ciclisti che in qualche modo accedono al sito.
Prima c’erano gli editori che cestivano i libri
dei ciclisti. Ora c’è Internet che permette
ad un numero sempre più ampio di persone
di avere accesso a testi che prima non avrebbe
mai letto o consultato, con o senza editori.
Bisogna stimolare di più la multimedialità
sportiva, l’accesso ai siti che raccontano dello
sport, non solo di cronaca, ma di storia e di
vita sportiva. Non è l’ordine d’arrivo,
ma la storia dell’arrivo e di chi me la vuole
raccontare, che mi interessa. Sennò basta
leggere la Gazzetta, ed io non leggo quotidiani.
Ben vengano i siti come “chilometrando.org”.
Il libro morrà? Boh, forse. Ciò
che conta è il testo, non il mezzo. Il
mezzo è il “medium”, lo strumento, il supporto,
ciò attraverso cui si potrà fruire
del testo: leggerlo, vederlo, sentirlo, e fra
qualche anno …annusarlo, assaggiarlo. Questa è
la multimedialità.
Se riuscissimo a raccontarci di più e far
circolare questo raccontarsi, sarebbe una cosa
formidabile. Scopriremmo tante cose, tanti perché.
Perché la bicicletta aspira a sostituire
il cane come miglior compagno dell’uomo (ho scritto
“compagno”, non a caso… non facciamo scherzi),
o il correlativo “miglior compagna” della donna.
La bici è un prolungamento dell’uomo…ecco
perché. È un’estensione di noi stessi,
che finisce con lei. Uomo e bici, o donna e bici,
sono una cosa sola. Anzi sono una “diade”, come
la madre e il neonato. Stop. Avremo modo di approfondire.
Gli argomenti sono tanti e, come in ogni trasmissione
che si rispetti… stimolanti. Quel che conta, oggi,
è l’impegno a contribuire questo raccontarsi,
questo tamtam ciclo-mediatico
A presto.
Sandro Mocci
----- Original Message
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From: <Gianni Deias>
To: "taccori" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Sunday, July 25, 2004 11:50 AM
Subject: nostra festa
Carissima Ivana,
abbiamo appena portato a termina la VI edizione
della Festa della Sardegna.
Sono ancora in letargo per recuperare un pò
di energie, pensa solo 3-4 ore
di riposo al giorno per ben 12 giorni. L'importante
è il risultato: abbiamo
superato i numeri dello scorso anno, non credo
sia possibile fare di più.
La nostra campagna di solidarietà, da me
sempre più voluta e pretesa, avrà
come destinatari l'ospedale microcitemico di Cagliari,
un progetto Unicef
per i bambini in Iraq, una missione francescana
in Ecuador, la Misericordia
di Pisa e la Pubblica Assistenza di Asciano. Questo
comporterà un'equa divisione
della raccolta fatta dai sempre più splendidi
"miei" ragazzi di Asciano.
In allegato ti invio una lettera di Alice che
partecipa alla raccolta e
alcune foto relative al punto di raccolta. Ricordandomi
quello che mi hai
detto a giugno ti invio anche una foto con me
ed alcuni ragazzi.
mi piacerebbe organizzare qualcosa che possa maggiormente
gratificare i
ragazzi che sono un vero esempio non solo per
i loro coetanei ma anche per
gli adulti. Pensi che sarebbe possibile la tua
presenza e quella della prof.ssa
Argiolu in ottobre (o anche sotto Natale) a Pisa?
sarebbe bello.
ciao a presto, Gianni
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Original Message -----
From: <Patrizia Fanni>
To: <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Saturday, November 06, 2004 3:29 PM
Subject: Lettera ad Ivana
Per la prima volta
oggi sono riuscita ad entrare nel sito Chilometrando...
Lo stimolo e la curiosità mi sono venuti
vedendo il servizio di Videolina sulla cerimonia
della FASI (Circolo Grazia Deledda di Pisa) nella
quale è stato consegnato l'importo raccolo
per il separatore cellulare del Microcitemico
di Cagliari. E' proprio vero che il tempo che
passiamo in Ufficio a volte è sprecato.
Ho, ad appena qualche decina di metri da me, una
persona incredibile (per quel poco che io riesco
a parlarti nei nostri veloci e fugaci incontri
non sono riuscita a rendermi conto della
portata del tuo cuore) e che io non conosco per
nulla. Mi sono sentita molto inutile ed inadeguata
a parlare di altri e di volontariato, ed il mio
essere Infermiera volontaria di Croce Rossa sbiadisce
ed è solo un insieme di parole che di fronte
a quello che fai tu, con la gioia e l'ironia del
tuo essere, non hanno alcun significato.Penso
che anche per te abbiano pieno valore le parole
del motto delle II.VV. della CRI "Ama, conforta,
lavora, salva" perché si vede l'amore
che metti nelle cose che fai e che organizzi,
la gioia che dai e che ricevi nella tua attività
al di fuori del lavoro, l'impegno che ci metti
nel farlo.Ti ripeto, un pò mi vergogno
del mio diploma appeso nella mia stanza in Ufficio,
delle mie poche capacità, del mio tempo
per gli altri praticamente nullo, e forse un poco
ti invidio...
Ti voglio bene, collega dalle mille e una sorpresa...
Patrizia Fanni
Silvia,
Silvana, Marco.
From: Macis, Marco
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Wednesday, July 14, 2004 3:09 PM
Subject: Aspettando BRUNO. Grazie di Cuore
Ciao Ivana!
Sono Marco, il figlio di Bruno.
Leggere l'articolo che hai voluto dedicare a papà
è stato davvero molto bello e commovente...
ma non sono solito soffermarmi troppo su queste
emozioni, me le godo intensamente e poi giù
di nuovo a capo chino a combattere questa battaglia
per la Vita.
Bruno ha di fronte un ostacolo che, per molti,
sarebbe impossibile persino solo voler affrontare!
Lui ha deciso di affrontarlo alla maniera di Peter
Polak, cioè contando solo sulle sue forze,
abbandonando la Velenosa medicina tradizionale...
e lo sta facendo ALLA GRANDE... ripeto ALLA GRANDE,
come pochi riuscirebbero a fare!
Noi, vale a dire la famiglia e gli amici, abbiamo
ora il compito che Tu e Giancarlo avevate nella
Cagliari - Sassari con Peter: dobbiamo tirargli
fuori tutto il coraggio, la speranza, la fiducia
e la voglia di VINCERE, perchè Bruno ce
la può fare davvero a scalare di nuovo
i passi dolomitici.
Nel suo sorriso di questi giorni, seppur con dolori
e sofferenza, c'è tutta la voglia di vivere
ancora quelle splendide emozioni.
Nei momenti di tristezza piangeremo con lui...
nei momenti di gioia rideremo con lui e quando,
con l'ultima TAC, non ci sarà più
evidenza del tumore tutti insieme lo festeggeremo!
Grazie di Cuore.
Marco, Silvana e Silvia
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Original Message -----
From: antonio_s
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Thursday, October 14, 2004 10:13 PM
Subject: Un caro saluto da Antonio S.
Carissima Ivonne
Le cose belle e nobili circa il sito già
te le ho dette.
D’altra parte, con sguardo meravigliato e quasi
colpito dalla citazione di “Dino Kazirra Buzzati”
oggi mi chiedi di scriverti ed io, sorridente
annuisco e prometto. Poi mi interrogo: Cosa mai
potrò scrivere ad Ivana che possa quasi
valere la pena di essere letto.
Le nostre piccole e sciocche futilità che
possono dare una parvenza di senso alla vita ce
le raccontiamo tutti i giorni, al Bar dell’Ufficio,
quando ci concediamo un caffè, piuttosto
che una pasta o un succo di frutta all’ananas…
Noi, borghesucci rubicondi (parlo per me naturalmente!)
viviamo di questo e di poco altro di importante.
Ma tant’è.
Allora penso, forse per la prima volta durante
il giorno (in altri termini sgombro il campo da
decreti e testi unici) e mi viene alla mente un
dettaglio di ieri. Stavo tornando a casa, in macchina,
sovrapensiero e radio accesa. Il conduttore esortava
a telefonare in redazione a chiunque volesse trovare
o ritrovare libri oramai dimenticati dalle case
editrici.
Un ascoltatore telefona: è un iraniano.
Racconta brevemente che vive ormai da diversi
anni in Italia e che porta con se un ricordo che
vorrebbe in qualche modo “rinfrescare”.
L’ascoltatore cerca un libro di uno scrittore
anch’esso iraniano, Sadeq Hedayat, dal titolo
“la civetta cieca”. Era il primo libro da lui
letto in gioventù e ne ha un ricordo struggente.
Sostiene, prima di ringraziare e riattaccare,
che il libro avrebbe dovuto rileggerlo in età
più adulta, onde poter cogliere tutte quelle
sfumature che allora, purtroppo, non percepì.
Incuriosito dal titolo e dall’autore mi ripropongo
appena arrivato a casa di saperne di più.
In questo solo internet mi può aiutare…
Arrivo a casa e realizzo che non mi ricordo più
il nome di quello scrittore che aveva scritto….
Ah si, la civetta cieca!
Il resto vien da se; cerco il titolo del libro,
trovo l’autore e le brevi biografie che di esso,
in varie lingue, si riportano. Apprendo che è
morto suicida poco meno che cinquantenne e poco
più di cinquant’anni fa. Del libro continuo
a non saperne nulla, ma in compenso trovo un suo
racconto: “il cane randagio”. Lo leggo e mi commuove.
Te lo propongo, sperando intimamente, se vorrai
leggerlo, che provochi in te sentimenti affini
ai miei. Quante metafore in questo breve racconto…
Un abbraccio
Antonio.
La piazza di Varamin era formata da alcune bottegucce
tipo panificio, macelleria, drogheria, due case
del té e un salone da barbiere. Tutte fatte
solo per poter sfamare e per soddisfare i primitivi
bisogni della vita.
La piazza e i suoi abitanti, sotto il sole battente,
mezzo arrostiti e mezzo bruciati, erano in attesa
delle prime brezze serali e delle ombre della
notte. Gli uomini, le botteghe, gli alberi e gli
animali, tutti avevano smesso di lavorare e muoversi.
Un'aria calda passava sopra le teste e sullo sfondo
azzurro del cielo la polvere ondeggiava addensandosi
sempre più per il via vai delle automobili.
In un angolo della piazza c'era un vecchio platano,
che malgrado fosse svuotato e marcito nel mezzo,
aveva espanso con tenacia i suoi contorti rami
artritici, e all'ombra delle sue foglie polverose
era stato eretto un grande palco sul quale due
ragazzini dalle voci acute vendevano risolatte
e semi di zucca. C'era poi un denso e fangoso
corso d'acqua che si trascinava con pesantezza
nel fosso che passava davanti alla casa del té.
L'unico palazzo che si notava era la famosa torre
di Varamin, di cui erano visibili la metà
del tronco cilindrico striato dalle crepe e la
punta conica, e tra le fessure dei suoi mattoni
rotti avevano fatto il nido i passeri, anche loro
silenziosi e assopiti per il caldo. Il silenzio
era rotto solo, a piccoli tratti, dal gemito di
un cane. Era un cane scozzese dal muso color paglia,
con delle macchie sulle zampe come se avesse corso
nel fango e gli fossero rimasti gli schizzi di
melma. Aveva le orecchie aguzze, la coda lucida,
i peli ondulati e sudici e due occhi intelligenti
che brillavano nel muso peloso. Al fondo di quegli
occhi, celato dalla notte che veniva sommergendo
la vita, c'era qualcosa di umano, vi ondeggiava
qualcosa di infinito, un messaggio che non si
poteva percepire, ma era lì, impigliato
dietro le pupille. Non si trattava di una luce
o di un colore, ma di qualcosa di indefinibile,
come quello che si coglie negli occhi di una gazzella
ferita. Non esisteva solo una certa somiglianza
fra i suoi occhi e quelli umani, ma una perfetta
parità. Due occhi castani pieni di un'attesa
e di un dolore quali si possono vedere solo nello
sguardo di un cane randagio. Ma nessuno sembrava
che notasse o che capisse quell'espressione dolorosa
e supplichevole. Davanti al panificio il fattorino
lo picchiava, davanti alla macelleria il garzone
gli tirava le pietre, se si rifugiava all'ombra
di una macchina lo accoglieva il calcio pesante
dell'autista dalle scarpe chiodate, e quando tutti
si stancavano di maltrattarlo, era la volta del
ragazzo venditore di risolatte che godeva particolarmente
a torturarlo. Dopo ogni lamento, veniva colpito
da un sasso e da una risata interrotta da insulti:
"Maledetto cane di un infedele!". Anche
gli altri sembravano complici del ragazzo e lo
incoraggiavano subdolamente, ridacchiando sotto
i baffi alla vista di quella scena. Ma tutti gli
davano addosso solo per "amor di Dio"
e sembrava loro più che normale torturare,
per ottenere la grazia, quello schifo di cane
che era stato maledetto dalla religione e aveva
settanta vite.
Intanto, il ragazzo venditore era talmente determinato
nell'infastidirlo, che l'animale fu costretto
a fuggire in un vicolo che portava verso la torre,
trascinandosi sfinito, con la pancia vuota, e
rifugiandosi in un fossato. Lasciò cadere
la testa sulle zampe tirando fuori la lingua e
in uno stato di dormiveglia fissò la verde
campagna davanti a sé. Era stanco e aveva
tutti i muscoli indolenziti, ma con l'aria umida
del fossato si sentì penetrare in tutto
il corpo un particolare senso di rilassamento.
I diversi odori, mescolati insieme, gli risvegliavano
nelle narici lontani e confusi ricordi: l'erba
moribonda, una vecchia scarpa inumidita, odore
degli oggetti morti e di quelli vivi. Ogni volta
che osservava un prato una voglia istintiva e
ricordi del passato si risvegliavano in lui, ma
questa volta il richiamo era talmente forte che
gli sembrava di sentire davvero nell'orecchio
una voce che lo invitasse a correre saltellando.
Era un desiderio ereditario, perché i suoi
antenati, in Scozia, nei prati erano cresciuti
liberamente, ma il suo corpo debole non gli permetteva
di compiere neanche il più piccolo sforzo.
Provava un misto di dolore, debolezza, languore.
Una manciata di sensazioni dimenticate e perdute
si accendevano di nuovo in lui. In passato aveva
avuto precisi doveri, e diritti: presentarsi al
richiamo del suo padrone, difendere la casa dalle
persone o dai cani estranei, giocare con il figlio
del padrone, aveva saputo come comportarsi con
le persone familiari come con gli estranei, mangiare
a una determinata ora o quando chiedere carezze.
Ma ora ne era stato distolto. Tutta la sua attenzione
ora era dedicata a procurarsi, con timore, qualcosa
da mangiare in qualche pattumiera, ad essere picchiato
e a lamentarsi tutto il giorno. Questo era il
suo unico mezzo di difesa. In passato era stato
coraggioso, pulito e vivace. Ma ora diventato
fifone e pigliasberle, tremava ad ogni rumore
che sentiva, ad ogni movimento, aveva paura persino
della propria voce. Era ormai abituato al sudiciume
e alla spazzatura. Gli prudeva il corpo ma non
aveva nemmeno voglia di levarsi le zecche o darsi
una bella leccata. Si sentiva di appartenere ormai
all'immondizia. Qualcosa in lui era morto, era
spento. Da quando era caduto in quell'inferno
sperduto erano passati due inverni, e non aveva
mangiato una sola volta a sazietà. Non
aveva mai avuto un sonno tranquillo. Tutti gli
istinti e i desideri sessuali gli si erano assopiti.
Nessuno gli aveva mai fatto una carezza, l'aveva
guardato negli occhi. Malgrado questi uomini sembrassero
assomigliare tanto al suo padrone, c'era un'enorme
distanza fra i sentimenti, il comportamento e
il carattere di lui e quelli di questa gente.
Come se gli uomini del passato fossero molto più
vicini al suo mondo e capissero meglio il suo
dolore e il suo sentire, e lo proteggessero.
Fra gli odori che gli accarezzavano le narici
più di tutti lo inebriava quello del risolatte
del ragazzo: quel fluido bianco che somigliava
così tanto al latte di sua madre rinverdiva
nella sua mente ricordi d'infanzia. D'improvviso
si sentì scivolare in un dolce torpore.
Si immaginò un cucciolo che succhiava dai
capezzoli di sua madre quel flusso caldo e nutriente
mentre la lingua morbida e forte di lei gli leccava
e puliva tutto il corpo. Sentiva già l'intenso
odore dell'abbraccio della madre e del fratellino.
Appena sazio, avvertiva il proprio corpo acquietarsi,
un tepore fluido gli scorreva nelle vene, la testa
appesantita si staccava dal cappezzolo e poi scivolava
in un sonno profondo, scosso a tratti da sussulti
di piacere. Quale voluttà superava quella
che provava quando, premendo le mammelle della
madre con le sue piccole zampe, il latte schizzava
senza difficoltà o ostacoli. Il corpo lanuginoso
del fratellino, la voce della madre, tutto era
così piacevole, carezzevole. Si ricordò
della sua cassetta di legno e dei giochi che faceva
col fratellino in quel giardino verde: gli mordicchiava
le orecchie aguzze, si rotolavano per terra per
poi alzarsi e rincorrersi. Più in là
aveva trovato nel figlio del suo padrone un altro
compagno di giochi, e in fondo al giardino lo
rincorreva, gli abbaiava e tirava con i denti
il suo vestitino. Non che avesse dimenticato le
carezze del suo padrone e le zollette di zucchero
che aveva mangiato dalle sue mani, ma aveva voluto
sempre più bene al figlio perché
era il suo compagno di giochi e non lo puniva
mai. Poi aveva perduto d'improvviso le tracce
della madre e del fratello. Gli erano rimasti
solo il padrone, sua moglie, il figlio e un vecchio
maggiordomo. Come distingueva bene l'odore di
ciascuno di loro e come riconosceva il rumore
dei loro passi! All'ora dei pasti girava intorno
alla tavola e annusava i cibi. A volte la moglie
del padrone, benché contrariasse il marito,
gli prendeva con tanto affetto un boccone, poi
arrivava il vecchio maggiordomo e lo chiamava:
"Pat! Pat!", e metteva il suo pasto
in una ciotola accanto alla sua casetta di legno.
Fu la pubertà la causa della sua disgrazia,
perché il suo padrone non lo lasciava uscire
e andare dietro alle femmine. Finché un
giorno d'autunno il suo padrone e altre due persone,
che erano spesso a casa loro e dunque Pat conosceva
bene, presero l'automobile e chiamarono anche
lui per una gita. Pat aveva già viaggiato
altre volte in auto col padrone, ma quel giorno
era come inebriato, subiva una particolare emozione.
Dopo qualche ora scesero proprio in quella piazza
e passarono da quello stesso vicolo che portava
alla torre. Ma tutto d'un tratto Pat avvertì
nell'aria l'odore di una cagna, si sentì
impazzire per quel vago profumo, quel richiamo
della sua specie che aveva sempre cercato. Si
mise a seguirne le tracce annusando a tratti e
infine spuntò, attraverso un fossato, in
un giardino.
Era quasi il tramonto quando Pat avvertì
la voce del suo padrone chiamare: "Pat! Pat!".
Ma era veramente il padrone o soltanto un'eco
che gli risuonava nell'orecchio? Quella voce esercitava
una strana influenza su di lui perché gli
ricordava tutti i suoi doveri, gli impegni e le
gratitudini verso il padrone, ma esisteva una
forza ancora maggiore che lo faceva restare con
la cagna e lo rendeva sordo ai rumori del mondo.
Si erano destate in lui forti sensazioni e l'odore
della sua femmina era così intenso da fargli
girare la testa. I muscoli, il corpo, i sensi
non gli ubbidivano più e aveva perso completamente
il controllo di sé. Era in questo stato
quando sussultò per l'improvviso piovergli
addosso di colpi di bastone e manico di vanga:
fu scacciato dal giardino attraverso lo stesso
fossato.
Appena si riprese, Pat, stordito, confuso, stanco
ma leggero e soddisfatto, cominciò a cercare
il padrone; ne era rimasto soltanto un leggero
odore nei vicoli. Cercò dappertutto lasciandosi
dietro tracce a distanze determinate. Arrivò
fino alle rovine fuori del paese ma ritornò
indietro perché aveva capito che il suo
padrone era di nuovo in piazza; una volta raggiunta
la piazza quel leggero odore si perdeva negli
altri. Veramente il suo padrone era andato via
e l'aveva dimenticato là? Ebbe paura e
provò una strana angoscia voluttuosa. Come
poteva vivere senza il suo padrone, senza il suo
dio, perché il padrone per lui era come
un dio, ma allo stesso tempo era certo che lui
lo avrebbe cercato. Spinto dalla paura riprese
a correre per le vie ma tutto fu inutile, del
padrone nessuna traccia. La notte lo trovò,
fiacco e sfinito, di nuovo in piazza.
Ricominciò a gironzolare nei vicoli del
paese e finì davanti a quel fossato dal
quale si era introdotto nel giardino, ma era stato
ostruito con i sassi. Si mise a scavare furiosamente
nella terra per aprirsi una via d'accesso al giardino
ma presto capì che era impossibile e deluso
si mise a sonnecchiare. Era mezzanotte quando
si svegliò di soprassalto per i suoi stessi
lamenti. Balzò in piedi impaurito e riprese
il suo girovagare nei vicoli annusando i muri.
Quando sentì la fame farsi sempre più
acuta fece ritorno alla piazza dalla quale giungevano
i diversi profumi dei cibi: l'odore della carne
avanzata, il profumo del pane fresco e dello yogurt,
tutti mescolati insieme. Ma Pat, intanto, si sentiva
un intruso nella proprietà altrui, doveva
chiedere elemosine a questa gente che somigliava
tanto al suo padrone e forse, se non fosse spuntato
qualche rivale a cacciarlo via, piano piano avrebbe
potuto conquistarsi il diritto a quel territorio
e chissà, uno tra questi esseri che aveva
il cibo per le mani, lo avrebbe preso con sé.
Timoroso e con tanta cautela avanzò verso
il panificio che era stato aperto da poco: il
profumo buono della farina cotta riempiva l'aria.
Pat si sentì chiamare da un uomo con un
pane sotto il braccio: "Vieni...vieni!".
Com'era strana quella voce! Ma l'uomo gli gettò
un pezzo di pane caldo. Pat, dopo un pò
di esitazione, divorò il pane e cominciò
a scondinzolare. L'uomo posò il pane sul
bancone del negozio e fece, con delicatezza, una
carezza sulla testa di Pat e si mise a levargli
il collare. Ma appena mosse di nuovo la coda e
si avvicinò al padrone del negozio, fu
colpito bruscamente da un calcio sul fianco e
si ritirò con un lamento. L'uomo andò
verso il fossato e si sciacquò meticolosamente
le mani. Ancora Pat riconosceva il proprio collare
appeso davanti al panificio! Da quel giorno Pat
da questa gente non aveva ricevuto altro che calci,
sassate, bastonate. Come se tutti fossero suoi
nemici giurati e godessero a torturarlo. Si era
reso conto di essere capitato in un mondo nuovo
che non sentiva come suo e non avrebbe mai potuto
penetrargli dentro. I primi giorni furono durissimi
ma poi cominciò ad abituarsi. Aveva scovato
un posto, sulla destra svoltando da un vicolo,
dove buttavano la spazzatura e nel quale spesso
si trovavano pezzi deliziosi come ossa, lardo,
pelle, teste di pesce e molte altre cose che lui
non sapeva identificare. Il resto della giornata,
poi, lo passava davanti al panificio e alla macelleria
a pigliarsi botte invece di cibo. Fu così
che si adattò alla sua nuova vita, mentre
del passato non gli era rimasto altro che il ricordo
di alcuni odori e un pugno di sensazioni vaghe
e evanescenti. Ogni volta che se la passava male
davvero trovava in quel paradiso perduto una fuga,
e si consolava lasciando scorrere davanti agli
occhi i ricordi di allora. Ma la cosa che più
di ogni altra lo faceva soffrire era il proprio
bisogno di essere accarezzato. Era come un bambino
che avesse preso solo scapellotti e insulti, ma
in cui non si era spenta la tenerezza dei sentimenti.
In questa sua nuova vita, piena di dolore e di
sofferenza, sentiva più che mai il bisogno
di carezze, le elemosinava con gli occhi ed era
pronto a dare la vita in cambio di un pò
di affetto e di una mano carezzevole sulla testa.
Lui stesso aveva bisogno di esprimere il proprio
amore e di dedicarsi a qualcuno, ma nessuno sembrava
volerlo capire. In tutti gli occhi non vedeva
altro che odio e cattiveria e qualunque cosa facesse
per attirare l'attenzione di queste persone sembrava
invece incitare in loro ira e collera.
Nel fossato Pat, d'improvviso, si svegliò
come da un incubo. Aveva una fame nera, quella
maledetta fame che fa dimenticare tutto il resto.
Nell'aria c'era profumo di carne allo spiedo.
Si alzò con difficoltà e si diresse
prudentemente verso la piazza. In quello stesso
momento un'automobile rumorosa avvolta da una
nuvola di polvere entrò in piazza Varamin.
Ne scese un uomo che andrò dritto verso
Pat e gli accarezzò la testa. Ma non era
il suo padrone, non poteva essere ingannato perché
conosceva bene il suo odore. Ma da dove era saltato
fuori qualcuno che lo accarezzasse? Mosse la coda
e fissò l'uomo, incerto. Forse volevano
ingannarlo? Ma questa volta non aveva nemmeno
il collare. L'uomo si voltò e di nuovo
gli fece una carezza sulla testa. Pat cominciò
a seguirlo, sempre più sorpreso perché
l'uomo entrò in una casa che Pat conosceva
bene e da dove veniva il profuno del cibo. Si
accucciò su una panchina accanto al muro.
Gli portarono pane caldo, yogurt, uova ed altre
cose. L'uomo gli gettava davanti pezzi di pane
imbevuti di yogurt. Pat mangiava frettolosamente
e poi più lentamente quei bocconcini e
guardava grato l'uomo con i suoi occhi castani,
languidi, supplichevoli, e muoveva la coda. Era
sogno o realtà? Aveva mangiato a sazietà
senza essere interrotto dalle botte! Aveva trovato
un nuovo padrone? L'uomo, malgrado il caldo, si
alzò e si diresse verso il vicolo che portava
alla torre e di là, dopo una sosta, continuò
il suo giro per i vicoli tortuosi insieme a Pat,
che lo seguiva dovunque. Finché giunsero
fuori dal paese, ad un rudere di cui era rimasto
soltanto qualche brandello di muro, le stesse
rovine dove Pat una volta aveva rintracciato l'odore
del suo padrone. Forseanche gli uomini inseguono
gli effluvi delle loro femmine? Pat attese l'uomo
all'ombra del muro e poi tornarono in piazza attraverso
un altro percorso. L'uomo fece ancora una carezza
a Pat e dopo un breve giro intorno alla piazza
andò a sedersi in una di quelle automobili
che Pat conosceva bene e su cui non si azzardava
a salire. Vi si accucciò accanto e guardò
l'uomo. D'improvviso l'automobile si mise in movimento
in una nuvola di polvere. Pat, senza esitazione,
prese a corrergli dietro. Non poteva, no, non
poteva perdere quell'uomo. Ansimante e affannoso,
e malgrado il dolore che lo assaliva, correva
con tutte le sue forze a grandi balzi. L'automobile
si era allontanata dal paese e attraversava l'aperta
campagna. Pat riuscì a raggiungerla due
o tre volte ma poi rimase di nuovo indietro. Aveva
raccolto tutte le sue forze per quella corsa disperata,
ma l'automobile andava più forte di lui.
No, aveva sbagliato tutto! Oltre a non potere
tenere il passo con l'automobile, era esausto
e avvertiva il languore di stomaco. D'un trattò
avvertì che i suoi muscoli non gli ubbidivano
più. Tutti i tentativi furono inutili.
Non sapeva più dove andava e perché
avesse corso. Non poteva proseguire né
tornare indietro. Si fermò ansante, con
la lingua fuori, gli occhi annebbiati e la testa
reclinata, si ritirò con difficoltà
dalla strada e distese la pancia sulla sabbia
calda e umida di un fossato che costeggiava i
campi. Il suo istinto impossibile da ingannare
sentì che di là non si sarebbe più
mosso. Gli girava la testa e pensieri e sensazioni
si confondevano. Provava un forte dolore alla
pancia e il malore luccicava nei suoi occhi. Le
sue zampe, tra sussulti e convulsioni, si facevano
mano a mano più insensibili e si copriva
di un sudore freddo: era una frescura dolce e
piacevole.
Era quasi il tramonto e tre corvi affamati, che
avevano sentito l'odore di Pat, gli volavano sopra
la testa. Uno di loro scese con circospezione
per guardarlo meglio: appena si fu accertato che
Pat non era ancora morto, volò via di nuovo.
Quei tre corvi erano lì per portargli via
i due occhi castani.
Jurgen
Krause al giro Dolomiti
----- Original Message
-----
From: ""Jürgen Krause""
To: <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Tuesday, August 03, 2004 10:10 PM
Subject: giro delle dolomiti
> ciao ivana,
>
> come stai? sorry, but my italian words are
not good. so i write in
> english. i believe, you understand that.
i had a wonderful week with giro
> delle dolomiti, last week. i`m a friend of
lorenza stonfer and you made a
> lot of photos from lorenza, me and my friends.
i looked at your nice
> homepage and i think you need more time to
bring the pictures on your
> homepage. please write me a short info, if
i can see the photos on your
> site!
>
> it was very nice to meet you and i wish you
a very good time with or
> without your bicycle!
>
> also greetings to your husband!
>
> best wishes,
> jürgen
>
----- Original Message -----
From: Annalisa Loizedda
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Tuesday, October 19, 2004 7:14 AM
Indovinate chi sono?
Annalisa, moglie di quello sciagurato fratello e cognato ultimo maschio della famiglia Melis. Non ho ancora finito di vedere tutto il sito, ma quello che ho visto fino ad ora è fantastico. COMPLIMENTI !!!!!
Ciao Annalisa
-----
Original Message -----
From: maury
To: Chilometrando
Sent: Tuesday, October 12, 2004 11:00 PM
Subject: Re: NUOVI SCRITTI.
Salve, ho potuto
ammirare il lavoro da te svolto che acquisisce
un sempre più alto significato, completandosi
ed arrichendosi di emozioni e forti sentimenti.
Concordo con te sul ritenere assurdo che ancora
oggi ci possa essere qualcuno che la ragiona in
maniera diversa e quindi innaturale, ne ero convinto
prima del mio incidente lo sono ancora oggi a
quasi sei anni da quel 20 ottobre del 1998.
Tieni presente che sarà sempre qualcuno
che cercherà di avanzare con una strana
teoria l'idea che le cose non stanno come noi
le vediamo, a quel punto ricorda cosa diceva tua
madre e per un momento stringi forte la mano con
cui reggi il tuo
"mitra" della ragione e della pace,
e combatti per quel in cui credi, perché
anche se ti può sembrare presuntuoso questo
ma tu sei nel giusto solco della vita.
Per farti capire quanto ogni giorno sia difficile
fare questo e mantenere la giusta calma, ed agire
sempre con quel "mitra" ti allego
una lettera che la settimana prossima dovrò
presentare al consiglio comunale di Cagliari,
fammi sapere cosa ne pensi, io non ti
spiego nulla prima e voglio che tu la legga senza
sapere più di tanto per sapere quale effetto
suscita in te e se capisci da cosa é scaturita.
Saluti Un saluto ed un abbraccio a te ed a Giancarlo
Maurizio & Linda.
-
Al Sindaco del Comune di Cagliari Dott. Emilio
Floris - Ai Sig.ri Consiglieri Comunali del Comune
di Cagliari
- Ai Sig. Assessori del Comune di Cagliari
Cagliari, 07 ottobre
2004
di Maurizio Atzori
Come ormai mi capita
spesso da circa un anno a questa parte, questo
martedì mi sono recato in Comune, per assistere
allo svolgimento dei lavori del consiglio comunale.
Così facendo ho potuto assistere alla vostra
discussione su una mozione presentata dal consigliere
di maggioranza l’On. Onorio Petrini.
Ed anche questa volta sono andato via dall’aula
con una sensazione che riesco a descrivere solamente
come un forte “amaro in bocca”.
Riflettendo sulla via di casa, sono stato quasi
folgorato, quando ho compreso da cosa era originato
questa mia reazione, quasi fisica, che avevo ogni
volta che in consiglio comunale si affrontava
una discussione che potesse riguardare in qualche
misura le problematiche delle “persone” con disabilita.
Questa mia condizione era originata, non da come
venivano trattate le diverse problematiche o dalle
argomentazioni avanzate dai diversi consiglieri,
oppure dalle risposte presentate dagli assessori
e dal sindaco, ma bensì dalla svariata
ed innumerevole gamma di epiteti usati da quasi
tutti quando si parla delle “persone” con disabilita”.
Ci tengo a precisare che questa mia necessità
trova ragione d’essere, non nella mia incapacità
ad acquisire una coscienza della mia nuova condizione
di handicap (svantaggio), che mi impedisce di
poter salire le scale di un ufficio sia esso pubblico
o privato. Ma nel aver preso coscienza che questa
mia condizione di handicap ha origine in un progettista
che non ha rispettato una normativa ben determinata,
in un tecnico del comune o della ASL che magari
non l’ha fatta rispettare, ed in una società
che anzi che pensare e progettare il proprio presente
ed il proprio futuro per tutti, tende ad emarginare
chi non rientra in quegli stereotipi di “normalità”
ed a disrciminare.
Sinceramente anche questa volta mi sono trovato
ad ascoltare degli interventi, non entrando nel
merito dei contenuti espressi, per i quali è
stato per me estremamente difficoltoso seguirne
il filo logico.
Forse dovuto esclusivamente ad un mio limite personale,
ma non comprendevo ad esempio quale legame ci
fosse tra un servizio che avrà come fine
la divulgazione dei diritti a tutte le “persone”
che si troveranno a doverne avere bisogno, con
la presunta nostra incapacità nel difendere
i nostri diritti, o nello scegliere da chi farci
adeguatamente rappresentare, o dalla forte pendenza
di uno scivolo fatto per accedere allo stadio.
Proprio durante questa riflessione ho compreso
che la cosa che più mi irritava era la
maniera in cui molti si dilettavano nello spiegare
quali erano le nostre necessità, non riferendosi
mai a delle “persone” con disabilita, ma una volta
diventavamo “soggetti”, un’altra “pazienti”, un’altra
ancora “diversamente abili”, sino ad essere degli
sprovedduti facilmente strumentalizzabili.
Come al solito i
politici cadono nel loro difetto più diffuso,
siano essi di destra, sinistra, centro, alto e
basso, che è quello di voler dire qualcosa
anche senza conoscere il significato delle terminologie
che usano, per non parlare degli argomenti di
cui parlano.
Nella maggior parte dei vostri interventi ci si
dimentica che, le “persone” devono affrontare
quotidianamente delle situazioni discriminatorie
non potendo così esprimere i propri diritti.
E queste stesse “persone” si trovano in una condizione
di svantaggio (ossia handicap) perché è
la società stessa, che come viene organizzata
e concepita, tende ad escluderle anziché
includerle, con barriere non solo fisiche ma nella
maggior parte delle volte mentali e culturali.
Questa situazione non è originata dal essere
“persone” con disabilita, sia essa di origine
motoria, sensoriale o intellettivo relazionale,
ma dalla incapacità della nostra società
nel recepire le esigenze di tutte le sue componenti.
Così facendo una persona che malauguratamente
perdesse il lavoro, e per una serie di sfortunate
coincidenze si trovasse a dover affrontare la
società odierna in una situazione di estrema
povertà, si troverà in una forte
condizione di handicap (svantaggio), entrando
di tutto diritto in quella fascia delle “persone”
con disabilita.
Naturalmente con le sue necessità e problematiche,
che si differenzieranno da quelle di un’altra
persona perché ognuno di noi è unico,
diverso ed irripetibile allo stesso tempo.
Concludo chiedendovi di ricordarvi che le parole
con le quali si indicano le “persone” sono importanti,
ed importante è il significato che esse
hanno.
Quindi vi esorto tutti ad essere, sempre più
attenti e critici, ai rischi di esclusione sociale
che una società così complicata
come la nostra porta insiti in se stessa, anche
con l’uso dei termini sbagliati.
Ma dovrete farlo usando la giusta terminologia,
rispettosa delle “persone” a cui ci si riferisce.
Colgo l’occasione per porgervi i nostri più
cari e distinti saluti, rinnovando inoltre la
disponibilità di tutto il direttivo della
Co.A.Di., a continuare quel percorso di stretta
collaborazione iniziato con la stesura del regolamento
taxi, che ci ha visti ricoprire a pieno in nostro
ruolo di consulta del consiglio comunale.
-----
Original Message -----
From: "F Argiolu" <fargiolu@mcweb.unica.it>
To: "Ivana Chilometrando" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Saturday, December 20, 2003 8:55 AM
Subject: Franca
> Carissima Ivana,
> tra le tante brutture di questo
mondo ci sono per fortuna anche dei
> gioielli preziosissimi: ci sei tu e tutte
le persone meravigliose
> sensibili ai dolori del prossimo, ci sono
i pazienti che, uno ad uno
> come un puzzle, finiscono per comporre e
far parte integrante della tua
> vita.
> Gli auguri più sinceri per le prossime
festività. Ti abbraccio,
> Franca
>
> P.S. Complimenti al fotoreporter.
----- Original Message
-----
From: <mrdeias@virgilio.it>
To: "taccori" <chilometrando@tiscali.it>
Sent: Monday, December 29, 2003 10:10 PM
Subject: articolo trapianto
Carissima Ivana,
grazie per la tua puntuale rassegna stampa. ho
già stampato ed affisso in
bacheca la foto e mi sono permesso di mettere
una didascalia che mette in
evidenza la nostra parte di solidarietà
tenendo sempre presente che la sinergia
produce ciò che da soli non sarebbe possibile.
c'è chi la chiama solidarietà
appunto, chi non sa come chiamarla ma fa
tanto. ma c'è una parola semplice
che dice tutto, basta pronunciarla con sincerità
"amore".
p.s. mi controlli per cortesia la data relativa
alla pubblicazione sull'Unione?
perchè il 19 non ho trovato niente.
ciao a presto e di nuovo auguri,
Gianni Deias
Maurizio
e Linda
----- Original Message
-----
From: maury
To: Chilometrando
Sent: Thursday, October 07, 2004 9:00 PM
Subject: Re: informazioni atleti presenti triathlon
settembre
Giusto la scorsa
settimana avevo visitato il sito nella speranza
di trovare i lavori in corso, ma non c'era ancora
nulla. Adesso capisco il perché di tanta
attesa, prima della pubblicazione,.
Il commento di Linda é stato "come
scrive bene", ed effettivamente sei riuscita
a trasmettere delle bellissime sensazioni, che
lasciano un dolce sapore dopo la lettura ed invogliano
a continuare a lottare ed a prepararsi sempre
meglio e con maggiore entusiasmo.
Di sicuro tutto questo non sarebbe possibile se
tu non fossi una bella persona, che sa godere
delle vere sensazioni che la vita può darci.
Ora basta con gli elogi, altrimenti ti monti la
testa e rischiamo di non vederti mai più
perché sei finita in qualche angolo sperduto
di questo pianeta a scrivere chissà quali
storie. Naturalmente scherzo!!!
Note informative: la seconda frazione l'abbiamo
percorsa con le "hand bike" (mano bici),
e non con le handy bike come hai scritto. Non
preoccuparti molti addetti del settore le chiamano
come te hai scritto ma il loro vero nome è
quello che ti ho indicato.
Per quel che riguarda le nostre future iniziative
la manifestazione di cui ti ho parlato é
stata spostata per il 12-13/11/2004, ti farò
avere ulteriori informazioni come concluderemo
il programma della manifestazione.
Un saluto ed un forte abbraccio
Maurizio & Linda.
Sandrino
Porru
----- Original Message
-----
From: Sandring
To: chilometrando@tiscali.it
Sent: Saturday, October 30, 2004 9:20 AM
Subject: Sei grande!!!!!!!!!!!!!
Carissimi,
ogni giorno è bello scoprire la grandezza
dei talenti che il Buon Dio ha posto in ciascuno.
Scusatemi se solo oggi sono riuscito a visitare
il vostro sito.
E' grande!!!!!!!!!!!!!
penso che non ci siano parole per esprimere la
gioia, la comozione, la gratidudine, la ecc..............
Grazie perchè ci siete e sapete donare
il meglio di voi.
Se tutti, nel nostro piccolo, sapessimo essere
dono per chi ci sta a fianco, anche in questo
mondo potremo godere un importante assaggio
del paradiso che ci attende.
Con affetto e riconoscenza
Sandrino