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dal 12/1/2008


© G.S.Chilometrando

 

Che cos'è l'Ironman?

 

Riflessioni di Carlo Alberto Melis
26/08/2005

Francoforte: l'Ironman di C.A. Melis Marathon Svalbard di C.A. Melis Maratona di Bologna di C.A. Melis

 

Che cos’è l’Ironman? Certo molto più che una semplice gara di nuoto, bicicletta e corsa, perché non è nata per essere tale. Chi l’ha ideata voleva proporre una scommesa, una sfida. E da allora, dal 1978, ogni triatleta che vi si iscrive è come se accettasse quella scommessa, mettendo se stesso e le proprie capacità come posta in palio.

Una sfida, dunque, su un percorso molto più lungo delle 2,4 miglia di nuoto, 112 di ciclismo (senza scia, si badi bene) e 26,2 di corsa, per dirlo con l’unità di misura originaria, da noi trasformata in 3,8, 180 e 42,195 km. Molti di più occorre percorrerne in allenamento per arrivare preparati al via, per tuffarsi nell’acqua, tra gli aspiranti, in quella schiuma che ribolle di paura, eccitazione, orgoglio.


Credevo che, dopo aver tagliato il traguardo dell’Ironman due anni fa, nell’incredibile scenario del Romerberg di Francoforte, non avrei saputo più provare quelle emozioni. La seconda volta non è uguale alla prima, me ne sono accorto nei lunghi mesi di una preparazione meno convinta, meno motivata, meno scrupolosa della precedente.

La distanza va sempre rispettata, d’accordo, ma non c’è più quel sacro terrore, non la paura di non avere le risorse per compiere una simile distanza. In Germania avevo chiuso in buone condizioni generali, senza soffrire oltre il lecito, pur faticando come è normale che sia. Ho finito per presentarmi al castello inglese di Sherborne, quartier generale della prima edizione dell’Ironman Uk con meno motivazioni, meno chilometri fatti e più problemi. Senza grandi ambizioni, se non quella di tagliare ancora il traguardo.


Il momento peggiore è stato poco prima di entrare nel torbido laghetto del parco, indegno palcoscenico per il nuoto di una gara tanto importante. Due ore e venti minuti di ritardo dovuto alla nebbia hanno contribuito a scaricare la tensione e aumentare l’angoscia, la voglia di scappare via, di mollare tutto. Cosa che, fortunatamente, non è possibile fare. E dopo la sirena di partenza tutto assume un altro significato.


Comincia allora il lento lavoro di far trascorrere il tempo, in un continuo controllo della situazione. Come il pilota di un aereo, che non deve stare attento al traffico o ai semafori, ma vigila costantemente sugli strumenti, così il triatleta cerca sempre di tenersi in assetto da crociera, in equilibrio tra una velocità adeguatamente elevata e un dispendio di energie tale da arrivare al traguardo. C’è da fare bene gli adempimenti tecnici, le transizioni, la guida della bici che, su un percorso nervoso e vallonato come quello inglese, prevede continui cambi di posizione e di rapporto; c’è da svestire e indossare i capi e gli accessori per le varie frazioni, da riporre con cura nelle borse in zona cambio; c’è da mangiare e bere per sostenersi fino alla fine; c’è, soprattutto, da tenere la mente sveglia e rilassata al tempo stesso, attenta ma non troppo impegnata, perché dodici ore passano lente, terribilmente lente. Eppure passano: è un esercizio di pazienza, di attesa. Basta non fermarsi e, prima o poi, lo striscione d’arrivo ti arriverà sopra la testa.


La gente a bordo strada applaude e incoraggia tutti e ogni incitamento è come una ventata di aria fresca in faccia. Poi, lentamente, tutto comincia a spegnersi. La strada si fa più tortuosa, i chilometri più lenti. Le voci esterne sono meno forti, mentre prepotentemente sale il volume dei tuoi pensieri, dei tuoi muscoli che si lamentano, reclamano quel diritto al riposo che la mente si ostina a negare. Comincia una lotta furibonda, su un campo di battaglia - il tuo corpo - sempre più straziato e sofferente. Più i muscoli fanno male, più la stancheza diventa fatica, la fatica sofferenza, la sofferenza dolore. La mente deve urlare per farsi sentire, per farsi rispettare. Fino a convincere i muscoli che possono farcela, fino a ricevere, nel finale, la convinta risposta di tutto l’organismo, galvanizzato dalla vista del traguardo. Che non manca di ricompensanti con un torrente di gioia allo stato liquido, impossibile da descrivere.
Che cos’è allora, davvero,l’Ironman? L’Ironman è quella distanza - in una strada lunga 226 chilometri - che resta da percorrere quando nel tuo corpo non è rimasta più altra risorsa se non quelle mentali. Per questo è e resterà la gara più bella del mondo.