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Il
sole di mezzanotte bacia l'atleta mentre
dorme |
Il sospetto che, a forza di gironzolare
attorno alla tavola dei campioni, qualche briciola
di gloria potesse cadere giù, era già
concreto. Certe volte basta trovarsi nel posto
giusto e al momento giusto per ricevere un regalo
che supera i propri meriti. Questa non è
la storia di un atleta celebrato, ma del fortunoso
incontro tra la signora più amata da ogni
agonista - la Vittoria - e un podista mediocre.
Un incontro capace di generare sensazioni talmente
intense da far pensare che sia avvenuto in un
luogo e in una maratona ben più importante
di quella che si è corsa sabato 10 giugno
a Longyearbyen, nell'arcipelago delle Svalbard.
Lassù, al 78° parallelo nord, dove
risiede sotto la bandiera norvegese la comunità
umana stabile più settentrionale al mondo,
si corre una gara sui 42,195 km che può
vantare analogo primato. Arrivare in aereo a Spitsbergen,
l'isola maggiore, è come varcare le colonne
d'Ercole ed entrare in un mondo dove la natura
è talmente inospitale da far credere di
volersene restare sola: scure montagne ricche
di carbone, digradano innevate sino alle rive
dell'algido mare di Barents. Non un albero, non
un cespuglio.
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la
frugale (!?) colazione prima della partenza |
Le coloratissime case di Longyearbyen,
la capitale, sorte accanto agli stabilimenti per
il trattamento del carbone, sono prefabbricati
che confermano il carattere di provvisorietà
della
presenza umana. Eppure, proprio
il 10 giugno si celebra il centenario della fondazione,
ricordando l'intuizione dell'americano John Longyear,
che nel 1906 iniziò lo sfruttamento dei
giacimenti. La maratona, alla dodicesima edizione,
fa
parte dei festeggiamenti, anche
se fino alle 18 della vigilia non c'è un
solo indizio dello svolgimento della gara. Tanto
da far pensare a uno scherzo. La vigilia sull'isola
è un crescendo di ansie e di stupore. Poche
strade solo asfaltate, non c'è segnaletica,
gli unici cartelli indicano il traffico di motoslitte
e il pericolo di incontrare l'orso polare (ritratto
in bianco su sfondo nero). La città (1.800
abitanti nella bella stagione, norvegesi, russi,
ma anche thailandesi e ricercatori universitari
di vari paesi) è il cuore di un tracciato
di 21,1 km, da ripetere due volte, non facile
ma di bellezza rara. Il sopralluogo, cartina alla
mano, rivela la presenza di saliscendi continui,
fondo spesso
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Il
duo di testa - a destra Carlo Alberto Melis |
sconnesso, persino carbonella. Ma
non importa, perché la gara è un
pretesto, neppure tanto sottaciuto, per immergersi
in un'avventura grondante fascino da ogni lato.
Nell'aria c'è ancora profumo di frontiera,
il vento (che preghiamo non rinforzi) trasporta
il profumo di imprese e tragedie. Da qui il generale
Umberto Nobile, nel maggio 1928, prese il volo
sul dirigibile Italia per il drammatico viaggio
al Polo Nord, nel quale perirono sette dei suoi
uomini. Passeggiare per le strade dell'abitato
di Longyearbyen, dove non mancano scuole (per
140 ragazzi sino ai 16 anni), supermarket, alberghi
e negozi, dà la sensazione di essere dei
privilegiati. Qui, però, ogni settimana
arrivano decine di norvegesi, per trekking, crociere
e spedizioni che non hanno paragoni per gli scenari
nei quali si svolgono. Il centro sportivo, con
piscina, spogliatoi, campo da squash e da calcio,
è accanto alla scuola. Non a caso è
un professore, Arne Opheim, che prima di insegnare
grammatica norvegese, matematica, fisica e religione
era un mezzofondista di ottime qualità,
a raccogliere le iscrizioni. Saranno poco più
di un centinaio a presentarsi al via delle tre
corse in programma: maratona, mezza maratona e
10.000 metri su strada.
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Gli eroici sardi doc
con in mano il tricolore e nel cuore la
bandiera dei quattro mori: Serena Taccori,
Carlo Alberto Melis, Renato Daga. |
L'occhiata all'elenco dei partenti
è una coltellata sulle ambizioni di podio:
tre marocchini in lista. Si lotta per il quarto
posto, tanto vale farsene una ragione. Eppure,
la cena della vigilia viene preparata con cura
nella Spitsbergen Guesthouse, dove un tempo alloggiavano
i minatori. All'interno, dove una tradizione che
non si può infrangere obbliga a circolare
senza scarpe, come in quasi tutti i locali dell'isola,
una piccola cucina a disposizione degli ospiti
ha tutto il necessario. La pasta e l'olio vengono
dall'Italia, il resto si compra al market. Il
tricolore come tovaglia, un'insalatiera di pasta
per fornire i carboidrati che serviranno da benzina
per l'indomani e Casa Italia è aperta.
Resta solo da dormire, anche se non è facile,
perché il sole non tramonta e le tende
sono un palliativo. Finalmente arriva il giorno
della gara. Nello spogliatoio, scalzi, ci si veste
in un silenzio poliglotta. Creme riscaldanti,
vaselina per proteggere le zone soggette agli
attriti; pochi optano per i pantaloncini corti
(ma è un irrinunciabile segno di nobiltà
atletica), altri si coprono. Fuori la temperatura
è di uno-due gradi sopra lo zero. È
sorprendente come gli avversari ti sembrino tutti
fortissimi, visti da fermi. Ci sono anche altri
due italiani, due cagliaritani, il medico stakanovista
delle maratone, Renato Daga, e la sua fidanzata
Serena Taccori, ex campionessa di ginnastica ritmica,
che vincerà la sua categoria. Non ci sono
i marocchini. Si parte, tra mille dubbi, come
sempre. Un londinese sembra l'unico a fare sul
serio, ma dopo diciotto chilometri di compagnia
silenziosa, comincia a mostrare la corda. Lasciarlo
indietro e sentirlo cedere alle spalle, piano
piano, sulla salita, produce una sensazione mai
provata. È la Vittoria che ti prende per
mano, che ti porta in braccio con la sua forza,
tra laghi ghiacciati e rari applausi di una platea
fantasma. Ti fa sentire invincibile, per un giorno,
per una volta sola. Ti concede di alzare le braccia
al cielo su quella linea tracciata per terra dove
può capitare che anche i sogni si realizzino.
19/06/2006
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